Cari amici,
sono tornata a Chengdu, la capitale regionale del Sichuan, dove non venivo da circa quattro anni. È la città delle sale da tè e "dei panda”, per così dire, dato che i panda sono originari di questa regione, e quindi tutto, ma proprio tutto, è marca "panda”. Le sigarette, per esempio: il Sichuan è una regione produttrice di tabacco, insieme allo Yunnan, e quindi quando si è trattato di darsi una marca, quale migliore del simpatico animaletto? Quello che fa ancora più ridere è che si tratta di sigarette piuttosto care, che un tempo erano fumate solo dai leader di Partito, e chi le possedeva poteva vantarsi di avere contatti nelle alte sfere. Quindi, fino alle liberalizzazioni di mercato, le sigarette Panda erano una delle più ricercate valute di corruzione, dato che distribuirne anche solo un paio poteva aiutare a risolvere un sacco di problemi pratici.

Oggi che il mercato è stato liberalizzato, le sigarette Panda si declinano in mille versioni, più o meno lussuose, e tappezzano le tabaccherie e alcuni stand per la strada, con decine di rettangolini con sopra un panda disegnato in vari modi. Ma a Chengdu perfino i tombini hanno un panda in rilievo, gli autobus e i taxi hanno il loro, e mille negozi se ne sono adornati la vetrina o l’interno. Poi, i panda vivi si possono vedere allo zoo, ma visto che ho sentito dire cose così terribili su come sono tenuti e su come sono trattati dai turisti, non ci sono mai andata -e poi, gli zoo non è che mi piacciano.

Dunque, panda a parte, l’ultima volta che sono venuta qui ero stata in una piccola strada divenuta una specie di quartier generale di una protesta piuttosto comune nel Paese, ma che aveva preso una piega molto originale: in un vecchio quartiere, in una strada centenaria, il comune aveva deciso di buttare giù tutto per rifarlo in una versione "nuovantica”, trasformandolo in un quartiere turistico. La stradina, Kuanxiangzi, quando ero andata a vederla, era già per metà distrutta e in piena ricostruzione finto-antica, ma nel bel mezzo c’era Song Chongwen, un signore che aveva tramutato l’area subito fuori casa sua in una sala da tè, e che si era messo a scrivere poesie, appendendole un po’ dappertutto sui muri intorno.

In questo modo era riuscito a concentrare intorno a sé un movimento dapprima solo del quartiere, di quelli che non volevano che andassero distrutte le case antiche per rifarle ad uso turistico. Ma poi un po’ per volta si erano uniti vari intellettuali, studenti, e altri che non erano d’accordo con il modo in cui la città stava venendo sventrata e rifatta. Quando ero andata a trovarlo mi aveva detto: "Ho sessant’anni e sono nato qui, in questa casa, la stessa dove è morta mia madre; mio fratello ha sempre abitato di fianco a me. Questa via è stata tutta la mia vita, non posso permettere che la buttino giù!”.
Allora, tornando a Chengdu, ho voluto vedere se ritrovavo Song, e sono tornata a Kuanxiangzi. Le cose, non c’era da dubitarne, avevano seguito il volere governativo: adesso c’è una placca in metallo all’ingresso del vicolo che dice che questa è una "via commerciale cinese caratteristica” -nel caso in cui uno non si ricordasse di essere in Cina.

All’interno, la via è in realtà costituita, come lo era in precedenza, da alcune stradine una nell’altra, dove, come previsto, ci sono i negozietti per turisti: uno vende ceramiche, l’altro borse di seta, una serie di ristorantini -c’è perfino l’immancabile Starbucks, la catena americana che fa impazzire i giovani cinesi- e dei giovani in costume cinese ottocentesco, con tanto di codino, dipinti di vernice metallica che fanno le statue immobili per divertire i turisti, e ogni tanto si muovono un po’, con tutti che scattano foto contenti. C’è anche una piccola libreria ambulante, e la commessa mi ha spiegato che il governo si era ripreso tutte le case, e ora le affitta ai commercianti. "E il signor Song? Il poeta?” chiedo, "Vai più in là, dove c’è una sala da tè in quella che era casa sua. Non abita più qui”. La casa da tè si chiama, adesso, La vecchia Chengdu, e il proprietario alla domanda su dove fosse Song di nuovo ha confermato: "Il poeta?” e mi ha fatto vedere le sue foto che conserva appese al muro. E poi ha detto che è andato via e ha affittato la casa, che ora è diventata una sala da tè: non ce la faceva più. Quello che è successo è che il lato di case dove abitava Song è stato salvato dalle ruspe grazie alle sue poesie, mentre tutto il resto è diventato la "via commerciale cinese caratteristica”, cioè distrutto. Ma anche loro, "i salvati”, hanno dovuto rifare un po’ la facciata, e accettare di abitare alla versione Disneyland della loro città.
Ilaria Maria Sala