"Non si sono presentati”, Stefania riaggancia il telefono e cancella due nomi dalla tabella Excel che sta compilando. Ufficio della Cooperativa Parella, Torino Nord, 31 dicembre. Luisa e Stefania sono due operatrici del servizio Boa, l’unità itinerante notturna per il sostegno ai senza fissa dimora. Quelli che, nel linguaggio eticamente scorretto, vengono chiamati barboni. Luisa è stata assunta un mese fa, quando è iniziata "l’emergenza freddo”. "È il periodo che va da novembre ad aprile, i mesi più freddi dell’anno”, spiega. "Viene aggiunto un prefabbricato da ventiquattro posti letto, in via Tazzoli”. Alla scrivania di fronte, Paolo, operatore del call center, compila le presenze dei dormitori. A Torino, d’inverno, sono otto: Carrera, Tazzoli, Traves, Osoppo, Pacini, San Luca, Sacchi, Ghiacciaie. Per i casi d’emergenza esiste un sistema di priorità (malattia, vecchiaia), le donne hanno la precedenza sempre. Chi è senza fissa dimora e in possesso di un documento regolare può iscriversi alle liste d’attesa: arrivato il proprio turno, si ottiene il posto letto per sette (non residenti a Torino) o trenta notti (residenti). Chi accumula un numero di assenze ingiustificate perde il posto.
Il servizio Boa si occupa del lavoro in strada e dell’assegnazione dei posti di emergenza nei dormitori. Dopo aver verificato il numero di letti d’emergenza disponibili, gli operatori Boa offrono un posto a chi, in strada, risponde ai criteri di priorità. Esiste una lista di persone, segnalate dai colleghi e dai servizi sociali: ogni sera appuntano, su un quaderno bianco ad anelli, gli spostamenti e gli incontri fatti.
"Possiamo andare”, dice Stefania alzandosi. Luisa infila due thermos di tè e qualche confezione di biscotti in uno zaino. Uscendo passano a controllare le presenze del Carrera, il dormitorio che fa parte della struttura: gli ospiti sono una quarantina, mangiano seduti attorno a un lungo tavolo. "Vinto anche voi il turno Capodanno?”, chiede un operatore. "Piacere” s’intromette un ospite. "Un po’ di panettone?”. "Grazie”, sorride Stefania mordendo una fetta.
Luisa si mette alla guida del pullmino bianco, nuovissimo: sei posti dietro, tre davanti. La prima tappa sono i pilastri della sopraelevata a Madonna di Campiglio, un posto tetro anche di giorno. Cercano un uomo, un indiano. "Sta qui sotto, di solito”, spiegano. "L’abbiamo trovato un paio di mesi fa, era malato e non si riusciva a spostare. Viveva in condizioni pessime”. Parcheggiano il pullmino e si prosegue a piedi. Nonostante la copertura e i pilastri di cemento fa freddo. "Questa è la sua roba”. Stefania indica un carrello cerato, di quelli che si usano per fare la spesa. È pieno, e diversi sacchetti di plastica pendono ai lati. Lo cercano ovunque, anche in un’auto abbandonata parcheggiata lì da una vita, senza una ruota e con il parabrezza rotto, ma l’uomo non c’è. "Speriamo stia festeggiando da qualche parte”, dicono tornando sul furgone.
I senza fissa dimora sono in aumento: forse a causa della crisi economica, molte persone perdono la casa e, non trovando ospitalità presso conoscenti, finiscono in strada. Gli extracomunitari sono molti ma tantissimi sono anche gli italiani. L’incremento degli ultimi tempi riguarda soprattutto donne e anziani.
Le strade della periferia sono deserte, i torinesi sono in casa a festeggiare. Avvicinandosi al centro compaiono gruppetti di giovani che corrono e lanciano petardi. Luisa parcheggia il pullmino di fronte a Porta Susa. C’è qualcuno sdraiato sulla pensilina del primo binario. Stefania si avvicina sedendosi sui talloni, "Ciao”, dice. Una testa sbuca dalle coperte. È una faccia rubizza, giovane. "Ciao Marco”, lo riconosce Stefania. "Vuoi un po’ di tè?”.
Marco annuisce, Luisa apre lo zaino e tira fuori un thermos. "Vuoi venire in dormitorio?”, gli chiedono, ma lui scuote la testa. Prende il bicchiere di plastica bollente e fa un cenno di ringraziamento. "Sto bene qui”, dice. Stefania si alza, "Magari domani. Buona notte Marco”, ha un attimo di esitazione, "Buon anno”, aggiunge. Lui sorride, "Buon anno anche a voi”.
In piazza XVIII Marzo, di fronte alla stazione, due uomini bevono seduti su una panchina. Uno trema, Luisa e Stefania lo salutano. "Non ti sei presentato in dormitorio stasera?”. Lui sorride nascondendo il volto. "Hai freddo, vuoi una coperta?”. Scuote la testa. "Tremo perché ho bevuto”, spiega. "Non vado a dormire là quando bevo. Non voglio che mi vedano così, non sta bene”. Prende la bottiglia di plastica e tracanna un altro sorso di vino.
Nei dormitori è vietato fare uso di sostanze stupefacenti, è la regola. Per questo molti preferiscono rimanere in strada. "Non siamo abituati a farci comandare”, s’intromette l’altro. "Non ci va di obbedire agli ordini, non ci piacciono i posti così. Meglio il carcere”. Stefania cerca di spiegare che nessuno li obbliga a restare in dormitorio, se non vogliono. Luisa distribuisce il tè e qualche pacchetto di biscotti, poi salutano e se ne vanno.
Di fianco alla sede della Rai, sulla superficie di pietra nera, è sdraiata una donna. "Buonasera” saluta, la cuffia di lana e le coperte lasciano intravedere un sorriso. È una signora anziana, ciuffi di capelli bianchi svolazzano fuori dal berretto. "Buonasera Fiorella, tutto bene?” la salutano le operatrici. "Ha bisogno di qualcosa?”. Lei sorride di nuovo. "Di cosa dovrei aver bisogno?” chiede divertita. "Avete visto che stellata c’è stasera?”. Ma un grosso lampione riduce il cielo a una macchia scura e compatta. "È una serata magnifica, quest’ultimo dell’anno”, aggiunge. "Non vuole venire in dormitorio?”, chiede Luisa. Lei scuote la testa, "Sto tanto bene qui…”. "Allora le auguriamo buon anno”, dice Stefania. Fiorella sventola una mano, "Buon anno anche a voi”, sussurra.
Il furgoncino bianco attraversa il centro sfiorando la festa. Sul palco di Piazza San Carlo canta Arbore, a pochi passi tre uomini dormono infagottati nelle coperte. Uno di loro si sveglia di colpo. "Non stavo dormendo”, dice tirandosi su, ha la barba bianca. "Pensavo alla mia condizione finanziaria”. Stefania non riesce a trattenere un sorriso mentre gli porge il tè. "Avete visto?” chiede lui, "Stasera abbiamo Arbore che suona. La musica napoletana è l’unica autentica, si sente che nasce dal cuore”. Non vuole andare in dormitorio. "Magari quando nevica. Adesso no, non posso, se me ne vado, Luca si offende”. Nel frattempo si sveglia l’uomo sdraiato di fronte, anche lui anziano. Accetta il tè con i biscotti, ma non si vuole spostare. L’uomo con la barba bianca fa cenno a Stefania di avvicinarsi. "Infinite grazie”, dice. "Siete proprio una bella cosa”.
Allontanandosi dalla piazza la folla diminuisce. Di fianco a Porta Nuova, su via Nizza, un uomo riposa su un vecchio materasso a righe, un cappello con la visiera nasconde la parte superiore del volto. È arrabbiato. "Avete dei soldi?”, chiede quando gli offrono il tè. "Se non li avete andate via, lasciatemi dormire”. Le operatrici si allontanano senza insistere.
E' quasi l’una, "Andiamo a brindare al Tazzoli?”, chiede Stefania. Il dormitorio allestito per l’”emergenza freddo” è un prefabbricato in plastica e lamiera grigia. "Fosca, non urlare”. L’operatrice di turno riprende un’ospite che parla a voce alta, gli altri dormono nelle stanze aperte sul corridoio. L’ospite, Fosca, ha i capelli gialli, bruciati dalla tinta, la pelle grigia e pochi denti in bocca. Controlla il cibo che qualche ora prima ha messo nel frigo comune, "È roba mia”, dice seria, difficile darle un’età. Fosca è tossicodipendente come Luca, il suo compagno. Si avvicina al bancone, "Voglio il mio metadone, quello che ti ho chiesto di tenere prima”, dice. L’operatrice s’infila in uno stanzino e torna poco dopo con le fialette. C’è una ragazza seduta al tavolo, mangia una porzione di pasta al forno tagliando il cibo con un coltello di plastica. "Questo non taglia”, si lamenta. È giovane, si chiama Roberta. Ai suoi piedi è accucciato un cane, "Tieni Totò”, dice porgendogli una striscia di pasta. Non si brinda, gli alcolici qui sono proibiti. Anche i fuochi d’artificio, quest’anno, sarebbero vietati, ma il proprietario dell’edicola a fianco non pare esserne al corrente. Dà fuoco a grossi candelotti posati sull’asfalto: fontane verdi e bianche salgono e poi esplodono in cielo, mentre una pioggia di polvere e cenere scende sul prefabbricato. Tutti si abbracciano e si augurano il meglio per l’anno nuovo. Roberta guarda Totò, "Ti prometto che ti trovo una casa e che la facciamo finita con questa vita”. Il cane le salta in grembo.