L’antica storia degli arabi, in età anteriore a Maometto, ci mostra questo popolo, individualista e tendenzialmente anarchico, fiero della propria indipendenza dallo straniero e repugnante a piegarsi a qualsiasi autorità che non fosse quella dei suoi stessi capi liberamente scelti in seno alla tribù. L’Islam, che unì gli arabi e li immise nella grande storia, predicò la soggezione di tutto il genere umano a un Dio creatore e giudice, ma dal punto di vista dell’organizzazione sociale si limitò a inculcare l’obbedienza al Profeta, con qualche vago accenno a organi e funzioni consultive tra i credenti (che è stato facile alla moderna pubblicistica interpretare in senso democratico). E in realtà il potere dei primi califfi, successori di Maometto, non fu affatto assoluto; ma tale divenne gradualmente, per lenta opera di uomini e favore di eventi, cosicché l’epoca classica del califfato, e poi delle tante dinastie locali in cui questo si frazionò, presenta quel quadro dell’assolutismo orientale che anche il profano conosce stilizzato dalle "Mille e una notte”. Dopo aver perduto in tale assolutismo la libertà individuale, gli arabi perdettero poi nel corso del XVI secolo anche quella collettiva o nazionale, venendo quasi per intero a far parte dell’impero dei turchi ottomani. E in conclusione dovettero attendere più di mille anni dal loro ingresso nella storia perché la riflessa coscienza della libertà e il correlativo bisogno si facessero sentire efficacemente tra loro. Di questa coscienza ed esigenza, benché a taluni arabi sappia oggi di forte agrume l’udirlo affermare, essi sono in larga parte debitori all’Europa; la quale da un lato si affiancò e poi sostituì ai turchi nel tentar d’imporre al mondo arabo, in forme più o meno apertamente colonialistiche, il proprio dominio, ma contemporaneamente gli apri gli orizzonti della cultura e della coscienza politica moderna. Così il «risorgimento» arabo, tra la fine del secolo passato e la prima metà del nostro, si è compiuto interamente sotto il segno di ideali e ideologie europei: dapprima quelli ottocenteschi, democratici e mazziniani, poi quelli moralmente tanto deteriori, ma rivelatisi purtroppo non meno efficaci e suggestivi sulle folle, del nazionalismo e persino del razzismo, che improntano tutta la più recente storia del Vicino Oriente. Per i precursori e gli apostoli di questo risorgimento, come per il nostro stesso a cui quello arabo in più aspetti si ispirò, gli ideali dell’indipendenza dallo straniero e dell’interna libertà civile si presentarono di solito abbinati o addirittura confusi in uno. La lunga lotta che la pubblicistica araba sostenne prima del ’14 contro l’oppressione del regime hamidiano mirava ad assicurare al popolo arabo una più o meno totale indipendenza dal dominio turco, e insieme il godimento di democratiche istituzioni rappresentative.
Il trattato alfieriano sulla tirannide, che non fa differenza fra tirannia straniera e domestica, giungeva adattato per indiretta via agli arabi, era da essi parafrasato e avidamente letto. La prima guerra mondiale, ove gli arabi indicibilmente soffersero, e una generosa schiera di patrioti affrontò il martirio, sembrò condurre a soluzione entrambi i problemi, della liberazione dall’inviso dominio straniero e della interna libertà. È noto come in realtà gli egoismi delle potenze occidentali vincitrici frustrassero per allora il desiderio di piena indipendenza del mondo arabo, sostituendo al dominio ottomano un larvato dominio anglo-francese col sistema dei mandati, e contendendo a palmo a palmo all’Egitto, già da un quarantennio sottoposto alla tutela britannica, il recupero della effettiva indipendenza.

Questa delusione, che venne dagli arabi amaramente risentita, avrebbe dovuto essere compensata dalla introduzione all’interno dei liberi ordinamenti rappresentativi: ed essi furono infatti ovunque sanciti, con estrinseca e quasi meccanica imitazione dei modelli europei, nelle costituzioni dei vari Stati del Vicino Oriente nel primo dopoguerra. Ma il non risolto problema di fondo dell’indipendenza nazionale, e l’immaturità alla vita democratica delle classi dirigenti in tutti questi Stati, poco fecero sentire i benefici delle istituzioni democratiche nella vita interna dei singoli paesi. L’istituto parlamentare, eccetto forse che in Egitto, non fu che una lustra dietro cui si nascosero e con cui si camuffarono le rivalità fra uomini e gruppi mossi da interessi personali e di casta, spesso ma ...[continua]

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