È trascorso quasi un mese da quando l’ergastolano Giuseppe Zagari è stato impacchettato e "deportato” a Sulmona, il carcere del suicidi. L’altro giorno alcuni compagni della redazione di "Ristretti Orizzonti” e alcuni volontari mi hanno chiesto di lui. Dalle lettere che scrive non sta bene e ha preso male questo trasferimento. Gli mancano gli incontri che faceva con i ragazzi delle scuole del progetto "Scuola-carcere”. E nel carcere dove si trova non può fare regolarmente colloqui. Mi dispiace. Vorrei fare qualcosa per lui. Vorrei aiutarlo in qualche modo. E mi dispiace di non fare abbastanza. L’unica cosa che posso fare e dargli un po’ della mia voce. Lo so, è poco, ma non posso fare altro.

Cosa scrive, dunque, Giuseppe Zagari:
"[...] Qui è un casino. Figurati che per telefonare a casa la prima volta ho dovuto fare quattro domandine e poi le telefonate sono aggiornate mensilmente, cioè decide la direzione il giorno della settimana che si può telefonare e se non trovi nessuno a casa dopo il recupero del sabato perdi la chiamata. Ci sono persone qui che ancora hanno due telefonate mensili. Comunque questo non è poi così grave rispetto al non poter far nulla dalla mattina alla sera. Se non potrò ritornare nel carcere di Padova dovrò rinunciare alla speranza e questo mi catapulterebbe indietro nel tempo dove per tanti anni ho vegetato come una pianta malconcia. Sai, a volte mi domando, ma davvero io sono stato così spietato con i miei nemici! Sicuramente sì, ma riconosco, o voglio riconoscermi una "piccola” attenuante per giustificare la mia esistenza. Lo Stato, o meglio la legge, non ha invece motivo di torturare eternamente gli uomini che hanno sbagliato. Ecco perché non posso accettare che dopo quasi ventiquattro anni di galera non si dia la possibilità di dimostrare che non sono più quel giovane colmo di odio che andava a caccia dei suoi nemici per annientarli perché gli avevano ucciso il padre.
Contro lo Stato non ho mai avuto nulla, non sono un mafioso per come mi hanno voluto dipingere, mai mi sono riconosciuto in questi panni, eppure la legge mi vuole così. Non capisco perché, Carmelo, o forse lo capisco, ma non mi va di accettarlo perché è ingiusto.
Carmelo, scusami per lo sfogo, ma chi può comprendere meglio di te il significato della parola ergastolo che non solo ci ruba i sogni ma ci prosciuga l’anima […]”.

Spero che qualche funzionario del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria legga queste parole e che declassifichi Giuseppe Zagari dal circuito di Alta Sicurezza per farlo ritornare nel carcere di Padova a lavorare nella redazione di "Ristretti Orizzonti”. Lo spero tanto perché, anche se non credo ai miracoli,  spero lo stesso che accadono.

Carmelo Musumeci
Carcere di Padova, maggio 2015