La prima volta che incontrai Khalida Messaoudi fu a Parigi nel 1993, alla Mutualité. La grande sala era affollata, a detta della direzione, come non lo era più stata dai tempi del ’68. Tutta la popolazione originaria del Nordafrica che vive a Parigi si era precipitata a sentire Khalida e Malika Boussouf, una giornalista algerina, che, parlando in un modo estremamente commovente e sincero, ed evitando assolutamente il "politichese”, suscitarono l’entusiasmo di tutta la sala. Sulla stampa del giorno dopo, però, il silenzio fu totale.
Credo che noi dovremmo cercare di capire la solitudine degli algerini in Europa, e di Khalida in Francia, perché ci riguarda e ci accusa. Credo che sia la stessa solitudine che provò mia madre quando arrivò in Francia nel 1938. Mi raccontava che i rifugiati provenienti dalla Germania e dall’Austria, che dovevano fare nelle Prefetture i documenti per l’immigrazione, si scontravano con un’incomprensione totale da parte dei funzionari francesi. Ma lo sappiamo, l’inno nazionale all’epoca recitava: "tutto va bene, madama la marchesa”. La solitudine delle persone che soffrivano nel proprio paese e che all’arrivo in Francia non erano assolutamente comprese, è la stessa che oggi provano tanti profughi, tanti esuli entrando in Europa. È la stessa solitudine che per interi decenni hanno provato in Europa occidentale i dissidenti dell’Europa dell’Est. Erano addirittura spaventati dall’incomprensione della brava gente di qui e dalle ingiurie di un certo numero di intellettuali un po’ troppo partigiani. La stessa solitudine l’abbiamo vista sul viso di altri democratici all’epoca della guerra in Jugoslavia. È vero che le manifestazioni di Algeri di questi giorni, di cui la stampa tace, sono sicuramente meno affollate di quelle recenti di Belgrado che sono state seguite dalla stampa. Ricordiamoci però che ci furono altre manifestazioni a Belgrado, nel 1991-92, quando poco mancò che gli studenti facessero cadere Milosevic, manifestazioni che si svolsero nel silenzio gelido di stampa e istituzioni europee. Oggi sappiamo qual è stato poi il prezzo di quel mancato sostegno ai democratici di Belgrado: la guerra in Jugoslavia, una guerra che è finita solo "con lo sbarco” degli americani.
Credo che noi siamo vittime del nostro stesso silenzio. Quando, davanti all’Algeria, l’Europa non dice nulla, non fa che demoralizzare se stessa.
In questa occasione vorrei dire quali iniziative, a mio avviso, si potrebbero prendere. La prima è chiamare per nome quel che succede. Quelli che hanno luogo sono crimini integralisti islamisti. Il fatto che si compiano con la complicità di chi, esercito e governo, potrebbe impedirli e non lo fa, non rende meno esatta l’attribuzione di responsabilità. È un tipo di crimine che si va estendendo e che presenta aspetti di novità impressionanti. Certo, la storia ci dice che noi conosciamo crimini di questo genere. Ci ricordiamo che Franco, per instaurare il fascismo in Spagna, si richiamava a Cristo Re; sappiamo che nella nostra storia ci sono state le guerre di religion ...[continua]
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