Don Carlo si fece avanti al centro dello spiazzo. Enzo lo raggiunse, gli mise un braccio sulle spalle e insieme scomparvero nel capannone. Poco dopo Enzo tornò fuori. In silenzio tutti aspettavano che succedesse qualcosa. Di lì a qualche minuto dal capannone si levarono urla talmente forti da investire gli astanti con la forza d’urto di un’esplosione. Nessuno si mosse. Dopo qualche minuto tutto tacque. Don Carlo uscì. Malfermo sulle gambe, sussurrò qualcosa a Enzo e si avviò lentamente verso la casa.
Le armi erano nel capannone. Enzo disse: "Forse facciamo in tempo”, ma fece cenno di aspettare un attimo. Entrò e si sentirono due spari. Sapevano che a quei due era stata promessa salva la vita se avessero detto dov’erano stati portati i bambini e quale sarebbe stata la stazione ferroviaria di partenza, ma loro avevano tergiversato e di certo non si poteva aspettare che analizzassero costi e benefici o correre il rischio che dessero indicazioni imprecise. Comunque bastò uno sguardo, entrando, per capire che quella promessa non si sarebbe più potuta mantenere. Il cannello dell’ossidrica, gettato a terra, soffiava ancora la sua fiamma e, poco più in là, si intravedevano delle grandi tronchesi. Nessuno volle guardare oltre e anche chi si avvicinò a chiudere il cannello mantenne gli occhi a terra.
Sul camion tutti tacevano e quando Giuseppe accennò a un sorriso dicendo: "Beh, però il maldestro funziona”, non uno alzò gli occhi dal cassone del camion. Fu allora che, di colpo, Giuseppe ricordò quella discussione lontana e capì quale doveva essere stata la sua conclusione: la cosa si poteva fare, ma a condizione di affidare il compito non al più ma al meno portato, al santo del gruppo. Ma non riuscì a ricordare in che occasione si fosse arrivati a quella conclusione e si incupì.
Si salvarono i bambini e si salvò anche il gruppo. Finita la guerra iniziò l’epurazione, che fu spietata. Enzo tornò dal Coordinamento nazionale e comunicò la direttiva: tutti coloro che avevano collaborato alla persecuzione, dagli ufficiali superiori all’ultimo dei combattenti della milizia, dagli agenti delle forze dell’ordine delle zone occupate che avevano praticato gli arresti ai funzionari dell’amministrazione che avevano dato i cognomi, dagli accademici che avevano firmato il manifesto della purezza agli intellettuali e ai giornalisti che l’avevano propagandato, fino all’ultimo dei delatori, tutti sarebbero stati giustiziati; l’analisi attenta del livello di responsabilità, del tasso di zelo, delle singole storie, dall’infanzia in poi, delle motivazioni e dei casi della vita, avrebbe potuto produrre attenuanti utili solo a evitare che i familiari fossero abbandonati a loro stessi. Nessuno si meravigliò dato che conoscevano bene le conclusioni dell’ultimo congresso dell’Internazionale democratica che aveva dedicato tutto il suo tempo al tema della punizione. Quel che provarono, invece, fu un certo sollievo al pensiero che quei due funzionari dell’anagrafe non si sarebbero potuti salvare in alcun caso. Ma di tutto questo non si parlò più e in generale si discusse molto meno dopo la vittoria nella seconda guerra contro i purificatori che dopo la sconfitta nella prima.
Giuseppe se ne andò in Africa a svolgere la sua professione di medico ma restò in contatto con tutti. Solo don Carlo si staccò dal gruppo e cambiò anche città. Non li voleva più vedere e loro rispettarono la sua volontà. Lo seguivano da lontano e sapevano che si dedicava ai moribondi. Correva voce che non stesse bene, che forse si era ammalato. Dopo qualche tempo qualcuno venne a dir loro che don Carlo voleva vedere "quelli di quel giorno”. Partirono subito. Li accolse la sorella che li condusse in una stanza in penombra dove si intravedeva sul divano un corpo dimagrito e un viso segnato dal sarcoma. Accanto a lui c’era Giuseppe. Si parlò del più e del meno, come se niente fosse, e non si disse neanche una parola di quel giorno. Solo prima di lasciarlo tutti credettero di vedere un cenno d’intesa e un sorriso in queg ...[continua]
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