Il lato oscuro della libertà è la libertà di vendere la propria libertà, o il proprio corpo, o parti del proprio corpo. Vendere in senso proprio, con contratti giuridicamente validi, riconosciuti e fatti rispettare da uno Stato. Rischiare o sacrificare la vita, per un ideale, per un fine, o suicidarsi, per depressione, per disperazione, perché si soffre e si è stanchi di vivere, è una cosa molto diversa. Come lo è rinunciare alla propria libertà per scelta esplicita, perché si aderisce ad un ordine religioso, o a un partito totalitario.
Si può dire che gli ordini religiosi, e i partiti totalitari, caratterizzano una società, sono una società.
Anche quando si vende la propria libertà o il proprio corpo per soldi, non si fa solo una scelta individuale o legata ad un rapporto personale; si fa una scelta sociale. Si dipende da una condizione o costrizione sociale, si contribuisce a determinare un sistema sociale. La vendita può essere definita individuale solo all’interno di una particolare teoria economica, quella neoliberale, per cui la società non esiste ed ogni individuo si presenta sul mercato senza vincoli, decidendo se vendere o comperare, cosa vendere e cosa comperare, a seconda di come va il mercato. Bisognerebbe invece rispettare almeno la distinzione tra sfere di giustizia di cui ha scritto Michael Walzer.
Vorrei invitare a riflettere su tre forme del lato oscuro della libertà: la vendita di forza lavoro, la vendita di organi (o gameti), la maternità surrogata. Si tratta di forme diverse, di cui si discute con codici distinti, ma che hanno molte caratteristiche comuni.

I diritti del lavoro
La frammentazione del posto di lavoro, la presenza di più datori di lavoro nello stesso luogo, di più rapporti di lavoro a tempo parziale per lo stesso lavoratore, di lavori a distanza, di contributi parcellizzati e anonimi fino a riscossione (i voucher), fanno dimenticare che i lavoratori dipendenti sono esseri umani e cittadini anche quando lavorano, che dovrebbero mantenere anche sul posto di lavoro i loro diritti costituzionali, che hanno idee e dignità, diritto alla sicurezza e alla salute, al riposo, a un reddito che consenta loro di vivere, alla sicurezza sociale.
Ci rendiamo conto tutti che la massima violazione di diritti la subiscono i lavoratori che non hanno contratto (l’Onu stima che siano più del 60% di tutti i lavoratori al mondo). In Italia ci sono certo molti lavoratori senza contratto, ma la maggioranza delle persone che lavorano firma un contratto. Perciò per qualche decennio, dall’approvazione dello Statuto dei lavoratori, abbiamo pensato che ci si dovesse preoccupare delle condizioni di lavoro, della nocività, degli incidenti, dei salari, ma non di una possibile rinuncia alla libertà. L’aumento della frammentazione, della precarietà, dei controlli a distanza, del rifiuto culturale dei patti tra lavoratori (dei sindacati), dei contratti aziendali che prevedono propri organi giurisdizionali senza appello, fanno pensare che alcuni vecchi sindacalisti e giuristi che avevano visto tempi peggiori, come Bruno Trentin e Gino Giugni, avessero ragione. Prima di tutto bisogna garantire la libertà di ciascuno, limitare la libertà individuale di contratto quando vìola la libertà del cittadino.
Dello Statuto dei lavoratori, di recente, abbiamo ricordato solo l’articolo 18, il vincolo alla libertà di licenziare senza giusta causa, che è sopravvissuto diventando una specie di labirinto, di intricata casistica. In questa sede vorrei solo ricordare che lo Statuto, oltre a enunciare in forma breve e chiara i diritti, proibisce nella forma più diretta, rende nulli, tutti i contratti stipulati in violazione della libertà. Il rischio culturale è che noi cittadini preferiamo mantenere la libertà di contratto, anche in condizioni di debolezza, di costrizione di fatto della parte più debole, a scapito di ogni altra libertà. Lo Statuto dei lavoratori era stato scritto e approvato, invece, proprio per difendere la libertà della parte più debole, costretta a subire violazioni della propria sfera politica, civile, personale; per salvare la libertà limitando la libertà di contratto.

La compravendita di organi
È la forma più diretta, grave, con conseguenze mediche ed economiche che possono rivelarsi gravi, di vendita del proprio corpo. È lecita, per gli organi simmetrici naturalmente, in alcuni paesi, tra cui l’Iran. È stata lecita fino al 2008 in India; lo è diventata di recente in Austra ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!