Cari amici,
vi scrivo da Kyoto, dove sto trascorrendo alcuni giorni di vacanza -così come stanno facendo, insieme a me, diverse migliaia di cinesi. Malgrado i mille pregiudizi sul Giappone, e il fatto che la propaganda nazionale non consenta di vedere il Giappone in altro modo se non come l’autore delle atrocità perpetrate nel corso della Seconda guerra mondiale, da quando i viaggi in questo Paese sono diventati più accessibili per i cinesi, ecco che è divenuta una delle mete preferite. Questo comporta molte contraddizioni: da un lato, i cinesi dicono che è uno dei Paesi dove si recano più volentieri. Dall’altro, in Cina dire: "odio i giapponesi” è perfettamente accettabile. L’anno scorso sono stati quasi quattro milioni i cinesi arrivati qui e se dovessi giudicare dalle folle che vedo intorno ai templi di Kyoto, direi che quest’anno le statistiche saranno decisamente al rialzo. Il fenomeno è tale da aver dato origine a un neologismo: bakugai, che significa "esplosione di shopping”. I cinesi comprano di tutto e a palate, un po’ perché lo yen è relativamente basso, un po’ perché non si fidano dei prodotti cinesi, e un po’ perché in questo nuovo boom del turismo all’estero, sembrano ancora incerti su come riempire le giornate lontani dai luoghi familiari e allora, nel dubbio, vanno a fare shopping. A Nara, prima capitale giapponese e una delle mie città preferite per la bellezza del parco con i cerbiatti e dei templi e per le sue dimensioni ridotte (nonché perché fino a poco tempo fa non c’erano molti turisti) oggi i cinesi in visita sono numerosi e la sera li si vede tornare in albergo carichi di sacchetti di plastica pieni di… latte in polvere, tanto per cambiare, per la vecchia questione che dopo ripetuti scandali non si fidano di quello domestico.
Osservo il turismo cinese da diversi anni, a volte con molta speranza:  mi auguro che andare all’estero possa fare da contraltare alla propaganda nazionale; a volte con il solito orrore che provoca il turismo di massa, da qualunque luogo provenga; altre volte ancora con una certa "tenerezza”, se mi passate il termine un po’ paternalista, dato che l’emozione e le goffaggini che accompagnano questi primi viaggi all’estero possono essere toccanti. Tuttavia talvolta il modo di muoversi e spadroneggiare dei nuovi ricchi, a casa o in viaggio, è spiazzante e offensivo, ma anche a questo, in un modo o nell’altro, bisogna fare l’abitudine aspettando che passi. Qui a Kyoto però sono per lo più sconsolata: il turismo cinese di massa sta modificando luoghi che a me, sinceramente, piacevano di più prima. Ma come Calvino fa dire al signor Palomar in viaggio a Kyoto, i templi giapponesi oggi sono quelli con i turisti, non l’immagine zen di silenzio e solitudine che se ne può avere dalle cartoline. E per quanto il signor Palomar non potesse prevederlo, i templi giapponesi oggi sono quelli con i turisti cinesi. I quali affittano kimono da uomo e da donna e poi, armati di bastone per i selfie, se ne vanno in giro a farsi fotografie sullo sfondo esotico dell’architettura sacra giapponese e dei suoi giardini. Alcuni, i più dediti all’arlecchinata, affittano anche le geta (i sandali di legno giapponesi), un ventaglio e una borsetta da polso di seta, e si fanno acconciare nel modo adeguato. Altri vanno un po’ più spicci, con le scarpe da ginnastica sotto al kimono, che in questi giorni di grande calore estivo aprono per sventolarsi le gambe. E poi tutti, felicemente, si fotografano gli uni con gli altri, un po’ qui e un po’ lì, davanti a questo scorcio, poi al prossimo, fra le risate e le moine.
Credo sia la mania per i parchi a tema a provocare queste reazioni: in Cina, dove tanta parte della bellezza storica è stata distrutta, il viaggio spesso prevede una visita a uno degli innumerevoli parchi a tema, dove la mascherata è quasi d’obbligo, e ci si muove come in uno studio fotografico scegliendo sfondi sempre diversi. Questo, del turismo, mi inorridisce: il mondo intero come un parco giochi da utilizzare per uno spasso temporaneo. I vecchi negozi d’antiquariato stanno scomparendo: meglio vendere gelati, cuoci-riso elettrici (di cui i cinesi vanno pazzi), affittare kimono, e fare soldi così. Però se quello che è successo a Hong Kong è un’indicazione, i giapponesi potrebbero commettere un errore; i turisti, e quelli cinesi forse più degli altri, sono molto incostanti. Vengono, si divertono per un po’, poi si stufano del parco a tema in kimono e ne vogliono un altro, che s ...[continua]

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