Cari amici,
mentre pensavo a quello che volevo raccontarvi questo mese, mi sono ritrovata sotto gli occhi una notizia ­ italiana ­ che mi ha lasciata davvero perplessa, e ho deciso che vi parlerò di Cina in senso stretto la prossima volta, e oggi, invece, voglio cercare di ragionare con voi degli strani effetti che la Cina ha sull’Italia. La notizia a cui mi riferisco riguarda la Rai: mi aveva telefonato Radio 3 per una chiacchierata sul G20 che si è recentemente tenuto a Hangzhou, dove si è recato anche Renzi, come sempre totalmente invaghito della Cina, ed ecco che, mentre io ero già collegata al telefono, il conduttore del programma inizia a presentare un accordo che la Rai ha fatto con China Radio International, una radio cinese che ha programmazioni in diverse lingue.
Naturalmente, trattandosi dell’annuncio di un accordo già firmato, e per di più dalla direzione, nessun commento critico era parte della trasmissione, ma anzi: che bello che bello, abbiamo un accordo con la radio cinese, e perfino, dice, con una radio che fa anche un programma in italiano, che "conosce bene” il nostro Paese, e che sarà d’ora in poi partner di mille meraviglie nel dare all’Italia maggiori notizie sulla Cina. La parola "propaganda” non è stata pronunciata­ e, prima che mi diate dell’ingenua, considerate per favore il fatto che in Cina questa è una parola del tutto neutra. "Fare propaganda”, in Cina, è un’attività considerata come naturale e giusta.
Da quando Pechino fa del suo meglio per diffondere all’estero una versione edulcorata del suo regime, infatti, si è resa conto di dover contrastare la stampa libera internazionale, in particolare per quanto riguarda le critiche sugli abusi dei diritti umani, quelle legate al modo in cui viene trattato il Tibet, lo Xinjiang, o, sempre più, Hong Kong, le descrizioni dell’imposizione massiccia della censura, e via dicendo. Così, Pechino agisce su vari piani: facendo accordi con organi di stampa internazionali (vedi Rai), intensificando la creazione dei suoi Istituti Confucio nelle università del mondo, e modificando nella traduzione ufficiale delle sue istituzioni il modo in cui le stesse parole cinesi sono tradotte in inglese e in altre lingue. Un esempio che fa al caso nostro è quello del Dipartimento di Propaganda, che in Cina si chiama così da quando è stato istituito, in seguito alla rivoluzione del 1949. Alla fine degli anni Novanta Pechino ha detto: "Va cambiata la traduzione. Chiamiamolo d’ora in poi in inglese e in tutte le altre lingue Dipartimento di Pubblicità, perché fuori dalla Cina propaganda suona male”. Modifica di forma, dunque, non di contenuto. Ma torniamo a noi. Poco prima della mia sorpresa rispetto alla Rai, mi ero di nuovo scandalizzata davanti a un accordo simile che l’Ansa, la nostra agenzia di stampa nazionale che viene finanziata coi soldi dei contribuenti, ha fatto con Xinhua, l’agenzia di stampa cinese, nonché organo dichiarato (basta andare sul sito web in cinese) del Partito Comunista Cinese. Di nuovo, l’annuncio è stato dato come se si trattasse di una festa. E invece, dovremmo scandalizzarcene. Scandalizzarci e protestare per il fatto che organi di informazione pubblici italiani si affiancano così felicemente con organi di propaganda di un regime illiberale e che ha l’intenzione dichiarata di modificare il modo in cui la Cina è percepita all’estero. Ovvero, intorbidire le acque rispetto a quel poco che si sa su quello che la Cina fa, e diffondere un’idea che non ha come scopo l’informazione, bensì la propaganda. Ho cercato invano un articolo sulla stampa italiana che dicesse: "Ma come possono avvenire questi accordi in totale assenza di trasparenza?”, e invece, cose così importanti o non sono discusse, o sono solo annunciate con contentezza. Tutti sembrano aver accettato senza battere ciglio che la nostra informazione, quando si tratta di un Paese che avrà sempre maggior importanza nelle nostre vite quotidiane, ci arrivi dopo essere stata filtrata dalla propaganda di Stato cinese. Anzi: ci sembra perfino una bella cosa, perché la Cina questi accordi li stipula garantendo investimenti e finanziamenti, e visto che noi di soldi ne abbiamo pochi, non guardiamo in faccia da dove arrivano, o che cosa ci viene chiesto in cambio. E in questo caso, quello che ci viene chiesto in cambio è di renderci complici di una propaganda che offusca e distorce.
Non so davvero come analizzare questo fenomeno italo-cinese: appena si profila all’orizzonte una ...[continua]

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