Nel nostro paese i livelli di mobilità interna sono piuttosto bassi. I confronti internazionali sulla mobilità entro i confini nazionali sono problematici, principalmente a causa della diversa ampiezza delle unità territoriali di riferimento. Tuttavia, i vari tentativi realizzati (si vedano, ad esempio, le ricerche di Bell e colleghi nell’ambito del progetto Image - Internal Migration Around the Globe e Bonifazi e Heins su Neodemos.it) mostrano che la mobilità interna in Italia risulta mediamente più bassa rispetto non solo agli Stati Uniti, noti per la ridotta radicalizzazione sul territorio delle persone, ma anche alla maggior parte dei paesi europei. La minore propensione italiana a cambiare "campanile” ha varie cause, tra cui la rigidità del mercato immobiliare (con alte percentuali di proprietari di case, rari incentivi all’affitto e sporadiche agevolazioni), il proverbiale ritardo nell’uscita dei figli (a volte ormai non più giovani) dalla casa dei genitori e il peso contenuto dell’istruzione terziaria. Il progressivo invecchiamento della popolazione e la conseguente riduzione del contingente dei giovani adulti -che, in generale, sono i più coinvolti negli spostamenti- potrebbe ulteriormente ridurre la propensione alla mobilità interna italiana nei prossimi decenni. Anche il contributo dei migranti internazionali, più mobili sul territorio grazie soprattutto al minor attrito esercitato da reti familiari e sociali rispetto a quanto accade per gli italiani, potrebbe non bastare a controbilanciare questa tendenza, tanto più che anche la loro mobilità sta diminuendo. Infine, va rilevato che in Italia la maggior parte degli spostamenti è di tipo intra-provinciale o al più intra-regionale: le migrazioni di lungo raggio, e in particolare quelle dalle regioni meridionali e insulari verso quelle del Centro-Nord, hanno costituito negli anni più recenti appena il 10% della mobilità interna complessiva (intesa come cambiamento di residenza da un Comune all’altro). L’attenzione sulle partenze dal Mezzogiorno resta alta sia nel discorso mediatico sia in quello accademico, come dimostra la recente pubblicazione di vari saggi sull’argomento (Colucci e Gallo 2014 e 2015, Panichella 2014).
Allora perché si continua a parlare delle migrazioni dal Mezzogiorno?
La persistenza dello stereotipo delle migrazioni dal Mezzogiorno dipende sostanzialmente da tre motivi. Il primo è di natura storica. Le migrazioni Sud-Nord sono state un fenomeno di massa che ha contribuito in maniera determinante ai cambiamenti sociali e alla modernizzazione del paese, soprattutto nel secondo dopoguerra. Più di nove milioni di italiani furono coinvolti nelle migrazioni interne tra la metà degli anni Cinquanta e gli inizi degli anni Settanta, con una perdita netta di popolazione per l’Italia meridionale e insulare a vantaggio del resto del territorio nazionale stimata in più di due milioni di persone.
Il secondo motivo è legato alla connotazione prevalentemente unidirezionale degli spostamenti residenziali che, sebbene con momenti di piena e altri di secca, ha mostrato una forte persistenza nel tempo anche negli ultimi decenni. Nel periodo 1995-2013 le persone che hanno lasciato il Mezzogiorno per trasferirsi al Centro-Nord sono state 2,3 milioni, più di 120 mila all’anno in media, e con saldi negativi di oltre 50 mila unità. Si è trattato principalmente di persone di cittadinanza italiana. Infatti, a differenza di quanto accade nella mobilità all’interno delle singole ripartizioni, il contributo della componente straniera negli spostamenti Sud-Nord è limitato (inferiore al 10% degli spostamenti totali), e non si è incrementato in maniera significativa nel corso del tempo. La (quasi) unidirezionalità dei flussi migratori Sud-Nord che si osserva dal secondo dopoguerra fa assumere al numero di meridionali presenti al Nord dimensioni impressionanti. Concentrandoci sui soli emigrati, cioè la cosiddetta prima generazione, e quindi escludendo tutti i discendenti, il censimento del 2011 registra quasi 3,9 milioni di individui nati nel Mezzogiorno e residenti nelle regioni centrali e settentrionali della penisola, pari al 10% della popolazione che viveva stabilmente nel Centro-Nord.
Il terzo motivo è legato alla rilevanza dei differenziali di sviluppo nelle diverse aree del paese. Le migrazioni Sud-Nord costituiscono una scomoda evidenza dello squilibrio economico e sociale tra le varie realtà del paese e del ...[continua]
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