settembre è il mese dei tifoni nelle Filippine, a Taiwan e nel sud della Cina, e come in altri luoghi, stanno diventando più frequenti e devastanti con il riscaldarsi del pianeta.
Fra fine agosto e inizio settembre ce ne sono stati tre: i primi due, i più violenti, li hanno chiamati Hato e Parkhar. La violenza del vento e la quantità impressionante d’acqua che si è riversata a terra dal cielo è quello che colpisce maggiormente: alberi secolari grossi come colonne sradicati, pezzi di cemento sbriciolati dalla forza delle onde, auto e perfino camion parcheggiati sulla costa che vengono scaraventati in mare. Una volta passato l’uragano, ci si guarda intorno sbigottiti, salutando con tristezza quello che è stato distrutto. Vicino a casa mia, c’era un albero che amavo molto di "mele di Java”, piccoli frutti lucidi che crescono a grappoli e che diventano rosa intenso quando sono maturi, spiccando contro il verde scuro delle foglie e i rami quasi neri. Spezzato dal vento, non vedrò più il pasticcio di mele cadute sull’asfalto in autunno e primavera, e non potrò più passarci sopra con la ruota della bicicletta compiacendomi del suono di polpa schiacciata.
Ma questa volta non c’è stato il tempo di sentire il lutto per gli alberi, perché la passione cinese per la plastica ha attratto l’attenzione: con due tifoni così riavvicinati, non si è fatto in tempo a pulire che di nuovo la furia di venti e onde ha reso inagibili le spiagge di Hong Kong, di Macao e del Guangdong. Così, sotto la pioggia violenta, guardavo le decine di scatoloni di polistirolo nei quali transita il cibo di Hong Kong galleggiare in acqua e frantumarsi sulla costa. Grosse scatole, tenute insieme da nastri adesivi colorati, che diventano milioni di pallini di plastica ingeriti poi da tartarughe, pesci ed uccelli.
A rendere ancora più apocalittica la fine dell’estate, l’ultima settimana di agosto, al largo di Hong Kong due navi cinesi che trasportavano olio di palma si sono scontrate, riversando tutto il loro contenuto biancastro in mare. Dopo il passaggio del tifone le grosse palle di olio rappreso si sono così mescolate a plastica, polistirolo e altra spazzatura, venendo poi a depositarsi sulla spiaggia. Con il calore del sole questi ammassi si scioglievano, ma la notte si addensavano di nuovo, inglobando anche sabbia e qualunque altra cosa avessero trovato. Per raccoglierle, i volontari andavano la mattina con grossi guanti di gomma e palette, cercando di acchiappare queste schifezze scivolose e grasse per poi buttarli nei bidoni della spazzatura prima che cani o altri animali curiosi li assaggiassero.
Il disastro ambientale a cui stiamo assistendo è di dimensioni ogni giorno più preoccupanti. Hong Kong da sola produce duemila tonnellate di rifiuti di plastica al giorno, e per ora non ricicla un granché. Oltre alla plastica scartata qui, va poi aggiunta tutta quella, impossibile da quantificare, che viene buttata in mare insieme ad altri rifiuti dalle navi cinesi che evadono i regolamenti e mantengono bassissimi i loro costi. A ogni tifone, anche questi rifiuti approdano sulle spiagge: un misto di bottigliette di plastica, pezzi di oggetti misteriosi, ciabatte infradito, posate, boe e reti marine, poltiglie di frammenti di oggetti rotti, siringhe e altro materiale medico, e matasse di sacchetti, buste, contenitori di ogni tipo.
Non so se si possa ancora parlare di "emergenza”: Hong Kong usa e getta, e così fa la Cina, la quale almeno aveva un’industria del riciclaggio molto estesa. Nell’ultimo anno però ha annunciato di non voler più importare la spazzatura altrui per trattarla. Questa inversione di marcia, sicuramente problematica per molti Paesi che preferivano non porsi il problema e caricare tutto sulle navi verso Oriente, per Hong Kong rischia di essere un evento epocale. Il governo locale non ha fatto assolutamente nulla per prepararsi e quindi per l’immediato le abituali duemila tonnellate di plastica, insieme a tutto il resto, verranno stipate nelle discariche, che ormai sono piene, e non è ben chiaro cosa succederà quando avranno raggiunto la capacità massima.
Nei villaggi delle zone rurali di Hong Kong, intanto, la mancanza di regole severe e soprattutto il fatto che nessuno applica quelle che ci sono, fanno sì che ci stiamo riempiendo di scorie tecnologiche: un business semiclandestino in crescita è quello del trattamento di rifiuti hi-tech, telefonini, computer, iPad e vari supporti elettronici, ch ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!