Claudio. Di quello che è successo alla fin fine se n’è parlato poco proprio per la riservatezza che c’è dalle nostre parti. E’ sempre stato così. La stessa cultura manageriale, che pure non è chiusa all’interno e interviene molto sul sociale, non dà troppo rilievo alle cose che si fanno. Anche con l’alluvione è scattato questo riflesso, che poi ha impedito che certe foto venissero pubblicate e che le televisioni avessero libero accesso in fabbrica. Quando sono venuti Berlusconi e Scalfaro, che ovviamente non potevano non entrare, hanno trovato già tutta la gente all’opera che cercava di levare i segni del disastro. Magari da un’altra parte si aspettava, si lasciavano lì per far vedere cos’era successo, qui no. La voglia di tornare alla normalità ha preso subito tutti. Così, nemmeno a un mese dall’alluvione, le prime linee sono ripartite. Un risultato davvero incredibile per chi avesse visto le immagini di quel lunedì col fango e l’acqua che in certi posti arrivavano a tre metri. E ora, per ricordare, ci sono dei segni; ma messi a bella posta...
Chiara. Sì, all’entrata, con la data e il livello raggiunto dall’acqua. A memoria dei posteri. Ma dentro non c’è più nessun segno, tutto è cancellato. Forse è quella mentalità di voler escludere, di voler cancellare in fretta le cose brutte per ritornare al più presto alla normalità, migliorandosi anche. Certamente, però, le persone che si sono trovate lì dentro conserveranno una foto che rimarrà impressa per tanto tempo.
Silvano. Il lunedì l’impatto fu tremendo. All’ingresso la prima cosa che veniva da dire era: “è finito tutto”. Penso che questa sia stata anche la considerazione dei massimi dirigenti. Anche perché l’ingresso è uno dei punti più elevati dello stabilimento, per cui uno immaginava cos’era successo nelle zone più basse: tre metri d’acqua, gli impianti sommersi. Poi, però, è scattata immediatamente la reazione, la voglia di cancellare in fretta. Con questo non si vuol dire che la gente di Alba, la gente della Ferrero, sia il meglio che si può trovare in giro. E’ il nostro modo di affrontare qualunque tipo di evento, che deriva dalla nostra cultura, dalle nostre radici.
E’ iniziata subito una corsa a lavorare alla velocità massima, con un unico scopo: riuscire a vedere il pavimento. Una corsa che è durata tre giorni. E il terzo giorno in alcuni reparti riuscivamo già a vedere le piastrelle. Era il primo traguardo raggiunto, ma importantissimo a fronte di quella massa di fango, acqua e quant’altro, del lunedì.
Ho visto gente che non si è mai fermata in otto ore, cosa che, ovviamente, non succede in orario di lavoro normale. Ho visto una grande collaborazione, devo anche dirlo, tra operai e capisquadra, capi-isola e dirigenti. In quei primi giorni lì non esistevano più gerarchie: solo la fretta di cancellare.
Il terzo giorno i generatori hanno sostituito le fotocellule e si sono normalizzati orari e turni; questo ha reso anche più efficace l’intervento perché trovandosi in migliaia sullo stesso orario di lavoro ci si ostacolava anche. Erano turni di otto ore, ma senza rigidità. Se qualcuno aveva dei problemi seri a casa non c’erano vincoli, faceva solo sei ore o arrivava alle 8 del mattino e andava via alle 12. Poi quasi tutti, senza che nessuno glielo imponesse, hanno rispettato in modo rigido la turnazione. Fare la notte in quelle condizioni, al freddo, all’umido, con l’acqua dappertutto, non era affatto piacevole ma, a differenza di quanto solitamente succede in condizioni normali, non ho sentito nessuno che si sia lamentato.
Ci si fermava solo per il pasto. In quei giorni c’è stata la novità dei pasti caldi in Ferrero, che non abbiamo normalmente perché non c’è la mensa. Arrivavano confezioni non so da dove e a mezzogiorno, con i tavoli improvvisati, si sono fatte lunghe tavolate: una cosa nuova, apprezzatissima dalla gente, perché dopo 5-6 ore nell’acqua e nel fango, mangiare un pasto caldo ti può anche far ritornare il buonumore.
I primi due giorni parecchi operai, che lavorano anche la terra, hanno portato giù i trattori. Se quel fango, se quella miscela terrificante di sabbia e di ogni genere di detrito si fosse seccata sugli ingranaggi avrebbe avuto un effetto devastante: il danno sarebbe stato di cento invece che di dieci. Allora i trattori attrezzati con le pompe per l’acqua ...[continua]
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