Bruno Manghi, sociologo, già sindacalista Cisl, ha pubblicato Far del bene. Il piacere del dono e la generosità organizzata, Marsilio 2007.

Partiamo da questa tua visione, più ottimistica di tanti altri, su quel che succede attorno a noi, dal punto di vista di sentimenti come il senso di solidarietà, la generosità, l’attenzione verso gli altri...
Diciamo che la prima considerazione, per uno che come me pratica la dimensione sociale anche nei posti più impensati, e quindi conosce tanta gente, è che in fondo questa società non merita la condanna così pesante, e direi noiosa, che le viene attribuita, di individualismo, di egoismo, ecc. In questa società si compiono tantissimi atti di oblatività, che a volte sono prevedibili, a volte imprevedibili.
Definiamo intanto questo: si tratta di atti che uno fa al di fuori dalla cerchia stretta della reciprocità familiare. La solidarietà familiare è un altro problema, molto profondo, che qui però non affrontiamo. Quindi questa società, ma tutta la società occidentale benestante, non l’Italia in particolare, è molto ricca di oblatività, che circola in modi svariatissimi. Ora, premesso che l’oblatività è una cosa antica, eterna (il valore della misericordia lo conosciamo dal Vangelo, dalla Bibbia e da tutto il resto, anche dal buddhismo, ecc.), quali sono le novità? Una riguarda il volume. C’è n’è tanta perché noi siamo più ricchi, in tutti i sensi. Si fa più del bene -come numero di atti- in una società ricca che in una società povera, perché abbiamo a disposizione più tempo, più problematiche soggettive, più soldi e anche più competenze, bene o male. Questo vale per tutte le età. Quindi non è vero che siamo una massa di individualisti condannabili al rogo, ecc. ecc. Qui parliamo di una società che sta in piedi perché c’è una rete immensa di atti oblativi, fine. Ma questa, lo ripeto, è una novità relativa, riguarda solo la quantità, l’oblatività c’è sempre stata, sia pure in scala minore.
Una novità che invece mi sembra sostanziale è che mentre un tempo il fare del bene in varie forme era inserito in una doverosità, in un’espiazione o in un riferimento al divino o alla propria dignità (l’aristocratico o il padrone paternalista illuminato che “deve” qualcosa), per cui c’era sempre questo senso del dovere, dell’essere giusti; ecco, qui invece c’è il piacere, che non viene più nascosto. Le persone dal fare delle cose traggono piccoli, medi e grandi piaceri, a seconda del volume di quello che fanno. Piccolo può essere il piacere di partecipare a una sottoscrizione di successo in cui ci sei anche tu; medio è quello di far qualcosa che, pur non cambiando la tua vita, sottrae ore al tuo tempo e ti costa soldi, ma magari incontri anche la gratitudine non necessaria del beneficato; il grande riguarda scelte che cambiano radicalmente la tua vita.
Il piacere, però, specialmente nelle cose piccole e medie, viene manifestato. Qui si realizza un incrocio tra le nostre problematiche esistenziali e il mondo che ci circonda. Insomma, io faccio una cosa e non mi vergogno di dire che questa cosa mi autorealizza, mi fa piacere.
Questa è una novità, rispetto all’idea del far del bene come atto giusto, che è nella tradizione sia religiosa, sia storica, direi…
Questo ovviamente ha le sue complicazioni…
Già. La prima complicazione è che se l’autorealizzazione e il piacere sono importanti, quando non c’è più il piacere, l’autodeterminazione e l’autorealizzazione, mi sento male, sono deluso, interrompo quella pratica. Questo rende il far del bene largamente arbitrario. Certo, io individuo un bisogno, quindi non sono un autistico, incontro qualcosa che ha bisogno di me, che mi chiama, però scelgo sulla base di un piacere e quando viene meno questo… In questo senso, io sono molto arbitrario, scelgo dove fare del bene: possono essere i bambini di Chernobyl, o altre iniziative o cause; è qualcosa che incontro nella mia vita casualmente, e questo fa sì che il far del bene arbitrario non possa essere diretto dalla politica. E’ un processo diverso e se si interviene eccessivamente a regolarlo, a indirizzarlo, s’inaridisce la fonte.
Ma quando il far del bene si organizza?
Questo è l’altro versante importante. E’ chiaro che, se ti organizzi, puoi fare delle cose buone che altrimenti non faresti mai. Puoi occuparti di problemi di frontiera, di cose complicatissime, perché lì dentro si concentra professionalità oltre che passione, organizzazione oltre che desiderio. ...[continua]

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