Benedetto Terracini è direttore della rivista Epidemiologia e Prevenzione e coordinatore del Comitato scientifico sull’amianto della Regione Piemonte.
Data la tua lunga esperienza sulle malattie da amianto, qual è il tuo ruolo nel processo?
Io sono coinvolto molto marginalmente. Sono i miei collaboratori, Franco Merletti e Francesco Barone-Adesi, del Centro di prevenzione oncologica in Piemonte, Corrado Magnani, professore di statistica medica e biometria alla Facoltà di medicina dell’Università del Piemonte Orientale, e Dario Mirabelli, responsabile del Registro mesoteliomi della Regione Piemonte, che se ne stanno occupando. Barone-Adesi, Magnani e Mirabelli, inoltre, collaboreranno come periti del pubblico ministero. E sono sicuro che useranno una cultura che ci è comune: abbiamo i nostri principi e anche i nostri strumenti, come il registro dei mesoteliomi in Piemonte messo in piedi quasi venti anni fa, all’inizio degli anni ’90, quando abbiamo cominciato a registrare tutti i casi di mesotelioma della pleura e del peritoneo che si verificavano in Piemonte. Inoltre, collaboriamo con l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione, che aggiorna periodicamente le conoscenze sull’amianto. Collaboriamo anche con la scuola di Irving J. Selikoff al Mount Sinai Hospital di New York e con il gruppo International Ban Asbestos (Ibas) che ha sede a Londra, è coordinato da un’avvocatessa, Laurie Kazan-Allen, e dispone di una grandissima documentazione sulle questioni riguardanti i procedimenti giudiziari sull’amianto in tutto il mondo.
Il nostro registro mesoteliomi è stato inserito in un progetto nazionale coordinato dall’Ispesl (Istituto superiore di prevenzione e sicurezza sul lavoro) e chiamato ReNaM: Registro nazionale mesoteliomi. In Italia, situazioni come Casale ne sono state trovate alcune altre, in particolare a Broni, in provincia di Pavia, e a Bagnoli. In Italia ci sono ogni anno in Italia circa 1200-1400 casi di mesoteliomi pleurici e nella stragrande maggioranza sono attribuibili all’amianto. A Casale, la ex Usl 76, con circa 100.000 abitanti, dove abbiamo iniziato a registrare i mesoteliomi nel 1981, prima che nel resto del Piemonte, ci sono oggi 50 casi all’anno. L’incidenza è moltiplicata per 10 volte rispetto a zone come la provincia di Varese, dove gli effetti dell’amianto sono medi per una zona industrializzata. Ma dei 50 casi che ci sono a Casale ogni anno oggi solo 10 o 12, mediamente, riguardano ex lavoratori della Eternit; i restanti 40 colpiscono la popolazione generale, cittadini residenti nella zona che si sono presi la malattia in conseguenza dell’uso dei residui della lavorazione e dell’inquinamento dell’ambiente. Quando avevamo cominciato, circa trent’anni fa, ne raccoglievamo 20 all’anno ed erano divisi in 10 fra i lavoratori e 10 fra la popolazione.
Lo stabilimento di Casale Monferrato ha causato, secondo i magistrati, 2.969 morti fra operai e familiari: una donna è inclusa fra le vittime per essersi ammalata lavando la tuta da operaio del marito. Come si può dire che queste malattie sono dovute veramente all’amianto?
Nel caso del tumore della pleura e del peritoneo, i famosi mesoteliomi, è molto semplice: non si conosce nessun altro fattore di rischio se non l’esposizione ad amianto. Andando a scavare nei casi, raccogliendo notizie e storie, nella grande maggioranza dei casi si riesce a mettere in evidenza una pregressa esposizione ad amianto, principalmente sul lavoro fino a qualche anno fa, adesso anche nell’ambiente generale.
Già solo nel caso del tumore al polmone, un altro cancro causato dall’amianto, è molto più difficile andare a discriminar ...[continua]
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