Risorse è una cooperativa sociale che si occupa sostanzialmente di raccogliere rifiuti. Puoi raccontare?
L’avvio di questa esperienza risale alla fine degli anni Ottanta, quando il gruppo Abele di Verbania, resosi reso conto dell’importanza cruciale del lavoro come mezzo per ridare dignità sociale a persone che, dopo aver abbandonato l’uso di sostanze tossiche, cercavano di riacquisire gli strumenti base della cittadinanza, nel giugno dell’89 fondò appunto la cooperativa "Risorse” con l’intento di trasferire alcune competenze già acquisite da alcuni che lavoravano in comunità come "recuperatori” e restauratori, per sviluppare una vera e propria attività professionale strutturata in una forma di impresa.
Per quanto mi riguarda, dopo una laurea in scienze agrarie, avevo conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di agronomo e conoscevo il gruppo Abele perché avevo svolto in quella sede il mio servizio civile di obiettore di coscienza; furono loro che mi contattarono per verificare l’opportunità di avvio di un nuovo settore di attività nel recupero degli scarti vegetali e mi chiesero di redigere un progetto.
Dopo circa sei mesi venni a sapere che non solo quel progetto era rimasto nel cassetto, ma che la neonata cooperativa rischiava di non superare il primo anno di vita. Fu così che proposi a Risorse di pormi come attore e realizzatore di questa proposta da me elaborata.
Abbandonai le varie attività intraprese nel campo della floricoltura e mi misi alla testa di un gruppo molto sparuto di persone che avevano espresso la volontà di iniziare questa esperienza; il lavoro partì davvero all’inizio di novembre ’89 con quattro elementi, di cui due cosiddetti "svantaggiati”.
Questa precisazione è importante perché è sempre stata una caratteristica di questa impresa che ha preso la denominazione di "Cooperativa sociale Risorse” un tipo di cooperazione istituito a livello nazionale dal 1991, quando fu emanata la normativa che seguì l’impulso di alcune leggi regionali anticipatrici, fra cui quella della Regione Piemonte, una delle più avanzate in Italia.
La legge nazionale fu un evento storico in quanto lo Stato, l’ente pubblico, conferiva una dignità semi-pubblica a questa tipologia di cooperative, nel senso che da allora si riconosce la possibilità di fare accordi diretti con le amministrazioni -entro un budget che non supera i 200.000 euro previsti dalla direttiva europea per i bandi e le assegnazioni- e si consente la fiscalizzazione degli oneri sociali per tutte le persone "svantaggiate” inserite. In cambio, a queste cooperative viene richiesto di avere a libro paga come minimo il 30% di persone svantaggiate: è una percentuale che può sembrare alta, per gestire un’impresa che ha l’ambizione di essere autonoma e sostenibile, ma la realtà dimostra che in Italia esistono ormai migliaia di cooperative sociali che riescono a realizzare l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate affermandosi contemporaneamente sul mercato come operatori economici a tutti gli effetti.
Vorrei precisare che i soggetti svantaggiati a cui faccio riferimento appartengono sostanzialmente a quattro categorie di persone: ex degenti di istituti psichiatrici; ex alcolisti o tossicodipendenti; ex detenuti o detenuti ammessi alle pene alternative; invalidi fisici.
Come si è evoluta la raccolta rifiuti?
All’inizio svuotavamo cantine e solai; facevamo un po’ il mestiere di rigattieri, quello più tradizionale e remunerativo. All’epoca la gente buttava via anche beni di valore, oggetti, mobili che trovavano una immediata ricollocazione, tant’è che all’inizio facevamo sgomberi gratuiti perché il valore ricavabile dalle merci recuperate era ampiamente superiore al costo dell’operazione eseguita.
Questa attività aveva tuttavia il difetto di non essere programmabile e di non garantire la continuità del lavoro. Oggi questo servizio si svolge a pagamento perché ormai quello che viene sgomberato non vale più nulla (su un quintale di immondizia ricicleremo due chili di materiale valido), ma nel frattempo abbiamo puntato sulla raccolta dei rifiuti solidi urbani, cioè dell’immondizia con la "i” maiuscola, quella che puzza, che non dà tregua perché va allontanata dalle proprie case quotidianamente, e che quindi garantisce un lavoro regolare.
Nel corso degli anni ’90 la raccolta differenziata divenne legge grazie al decreto Ronchi che aveva recepito l ...[continua]
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