Ti sei occupata a lungo di Dna e ora studi l’Escherichia coli, un batterio molto importante. Puoi raccontare?
Bianca. Nel mio gruppo di ricerca studiamo i batteri, nello specifico cerchiamo di capire come reagiscono allo stress e alle diverse situazioni, cioè cosa permette loro di evolversi, di sopravvivere e di adattarsi alle varie condizioni del loro ambiente. Lavoriamo molto in collaborazione con ingegneri e fisici, sia sperimentali che teorici. L’idea, l’obiettivo è di avere una descrizione quantitativa dei sistemi biologici. Devo dire che questa collaborazione è stimolante e divertente perché i fisici hanno un punto di vista diverso rispetto al nostro, quindi a volte fanno domande che un po’ ti spiazzano, però in effetti così mettono in evidenza cose a cui magari non avevi pensato prima.
La scelta dell’Escherichia coli è legata al fatto che si tratta di un batterio che viene studiato da tantissimo tempo, su cui quindi si sanno tante cose, ad esempio come interagiscono i diversi componenti cellulari. Questo ci permette di fare dei modelli matematici.
L’E. coli si trova nel nostro intestino, ma può vivere anche fuori, proprio perché ha grandi capacità di adattamento. Ovviamente nell’intestino sta benissimo, al calduccio, 37 gradi, con tutto il cibo a disposizione. Fuori, invece, le condizioni possono essere peggiori, se finisce su un campo, dove fa freddo, c’è poco da mangiare, la terra è acida, sopravvive comunque, ma appunto con più fatica.
La sua funzione, nel nostro intestino, è di aiutarci a digerire, quindi è un batterio "buono”, anzi fondamentale: non puoi sopravvivere se non ce l’hai!
Ormai sappiamo che il 50% del peso dell’intestino è costituito da batteri. Le cellule batteriche sono anche le più numerose nel nostro corpo. In una persona che pesa 50 chili, il peso dei suoi batteri arriva a mezzo chilo. La maggior parte dei nostri batteri vive nell’intestino, anche se i coli possono adattarsi a vivere pure nel sistema urinario, dove non dovrebbero stare. Se finiscono nell’apparato urinario, i batteri sono sottoposti a uno stress dovuto al fatto che non ci sono i nutrimenti presenti nell’intestino, quindi attivano una serie di geni patogeni, che possono produrre delle tossine, un’infiammazione, attivando il sistema immunitario (che invece non si attiva nell’intestino).
Dicevi che il tuo lavoro di ricerca si colloca a metà strada tra la biologia e la fisica.
Bianca. Ho iniziato come biofisica: studiavo le strutture degli organismi viventi e i meccanismi delle macromolecole dei processi vitali, applicando i metodi e le leggi della fisica, usando laser, infrarossi, raggi x, il sincrotrone.
Per molti anni mi sono interessata a come le molecole interagiscono tra loro: come le proteine riconoscono il Dna, come le proteine adottano una struttura tridimensionale specifica; ho raccolto molti dati su queste interazioni "semplici” perché fatte da pochi attori. Nella cellula pero’ ci sono decine, centinaia di queste interazioni che risultano in un fenotipo, una proprietà su scala cellulare, se non dell’organismo. Questo tipo di dati in teoria può essere usato per poter descrivere il network di interazioni presenti nella cellula. Questo grande numero di interazioni può risultare in proprietà del sistema dette "emergenti”, che non si possono facilmente predire con una descrizione al livello delle interazioni singole. A quel punto sono andata al Santa Fe Institute, un istituto specializzato nello studio interdisciplinare di sistemi complessi. Lì ho capito che per testare i modelli matematici creati grazie ai dati di biofisica potevo usare lo studio dei batteri dal vivo.
Il mio interesse si è successivamente spostato su come crescere i batteri, come misurare le loro proprietà, i livelli dell’espressione dei geni: se i geni vengono attivati o no in un batterio e quando. Oggi, il mio lavoro, la mia ricerca ruota attorno alla descrizione quantitativa di sistemi biologici. Sono in una posizione di interfaccia tra biologia e fisica.
Possiamo dire che adesso, grazie alle nuove t ...[continua]
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