Georges Bensoussan, ebreo francese di origine marocchina, storico, è responsabile editoriale del Mémorial della Shoah di Parigi.
In seguito a una frase da lui pronunciata durante un’intervista radiofonica ("nelle famiglie arabe, tutti sanno, ma nessuno ammette, che l’antisemitismo è trasmesso attraverso il latte materno”) alcune associazioni antirazziste francesi l’hanno portato in tribunale con l’accusa di incitazione all’odio razziale; accusa da cui Georges Bensoussan è stato assolto lo scorso marzo per la mancanza dell’elemento dell’intenzionalità. "Il convenuto -hanno spiegato i giudici- non può essere accusato di aver suscitato o di voler suscitare un senso di ostilità o di rifiuto nei confronti di un gruppo di persone e ancor meno di aver esplicitamente istigato la commissione di atti precisi contro questo gruppo”. Con Les Territoires perdus de la République Bensoussan denunciava già nel 2004 il problema dell’antisemitismo nelle periferie francesi.

Dopo i violenti attentati che hanno colpito la Francia nel 2015 e 2016 2016, è emersa una consapevolezza dei problemi e dei conflitti latenti che attraversano la società francese?
Sostanzialmente no. C’è sempre una certa difficoltà, in particolare da parte di alcuni ambienti politico-culturali, ad analizzare attraverso un approccio culturale il comportamento di immigrati di origine magrebina che oggi sono diventati francesi, spesso da più di due generazioni. Lo si analizza in termini sociali, che ci sta, ma non è sufficiente. Ci sono anche delle ragioni culturali. Una parte della sinistra francese, che a lungo ha dominato il panorama intellettuale producendo un enorme conformismo  di "benpensanti” (in particolare all’università) fa fatica a tener conto dei fattori culturali, come se far questo fosse una forma mascherata di razzismo. Un razzismo vergognoso, inammissibile, che verrebbe legittimato attraverso un’analisi culturalista.
Il procedimento è semplicistico e riduttivo perché si basa su di un moralismo sconnesso da una visione politica.
In realtà, nel momento in cui si analizza una certa situazione non si può prescindere dagli aspetti culturali e sociali: bisogna integrarli entrambi. Su questo aspetto si è ancora molto cauti. Per esempio, per quanto riguarda l’antisemitismo di questi francesi d’origine magrebina, è molto riduttivo e semplicistico ricondurlo solo a una semplice trasposizione del conflitto israelo-palestinese. Sicuramente il conflitto tra Israele e Palestina ha delle ripercussioni in Francia tra le comunità magrebine, tuttavia è un fatto che nella storia di queste comunità del Maghreb, sia radicato un antigiudaismo molto antico, in gran parte d’ispirazione islamica, ma non solo, che fa parte della cultura di base di queste società maghrebine. Tuttavia, dato che i nostri riferimenti spesso si limitano alla sola Europa, non ritrovando le stesse tracce dell’antigiudaismo cristiano, finiamo per pensare che là non ci sia antigiudaismo e che regni la concordia. Certo, l’antigiudaismo nel mondo arabo-musulmano non è sfociato nelle ondate di violenza perpetrate in Europa, c’è stata della violenza, ci sono stati degli attacchi, delle stragi di ebrei in alcuni luoghi, ma nulla che si avvicini a ciò che è successo in Europa. Quindi, siccome non si tratta dell’Europa, si pensa che non esista.
Lo stesso diniego avviene per quanto riguarda il fattore religioso. La sinistra non ha preso sul serio l’ascesa dirompente del fattore musulmano, di un vero risveglio di un islam rigorista, salafista, direttamente ispirato al wahabismo saudita. L’ha considerato come un semplice derivato della collera sociale. Non riesce a considerare l’aspetto religioso per ciò che è, in modo autonomo. Pensa sempre che sia un prodotto della miseria sociale. Lo ripeto: è un ragionamento un po’ semplicistico e riduttivo.
Si sottovaluta l’importanza dell’aspetto religioso tra le popolazioni arabo-musulmane?
Sì. Si fa fatica ad ammettere il peso del fattore culturale e il peso del fattore religioso, l’autonomia della sfera religiosa che non è semplicemente un sottoprodotto dell’economico e del sociale. È molto più complesso. La sinistra, o una sua parte, preferisce spiegare tutto solo attraverso il sociale e l’economico privandosi così di una miriade di canali di comprensione. L’ottimismo della sinistra la rende cieca di fronte alla natura tragica dell’esistenza e anche alla natura guerriera della politica.
Gli attentati hanno messo in luce come una ...[continua]

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