La contraddizione storica della Germania che, pur essendo terra di immigrazione, non ha mai avuto una legge che la regolamentasse avvallando, di fatto, il rispetto dello ius sanguinis; ora, lentamente si sta affermando lo ius soli, ma le difficoltà sociali all’integrazione, perfino di chi
ha ottenuto, dopo anni, la cittadinanza stanno crescendo; la competizione sul mercato del lavoro e sui servizi sociali alla base della diffidenza verso gli immigrati. Intervista a Holgher Förster.
Holger Förster è direttore del Verband für interkulturelle Arbeit Berlin-Brandenburg, una confederazione che riunisce più di quaranta associazioni di migranti della regione e si occupa di immigrazione, integrazione, transculturalità e interculturalità da più di 25 anni.
Chi viene in Germania oggi e da quali paesi?
Ci sono due grossi gruppi di persone che vengono in Germania oggigiorno. Il primo è costituito da cittadini di altri paesi dell’Unione europea che si trasferiscono per motivi di lavoro; il secondo da persone che vengono per inoltrare una richiesta d’asilo. A partire dal 2015 questo secondo gruppo è sempre più nutrito e comprende soprattutto rifugiati provenienti dal Medio Oriente, ma anche dall’Africa. In questo momento, per esempio, vengono molte persone dall’Eritrea e dal Sud Sudan. Secondo i dati pubblicati dall’Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati (Bamf) nel 2017 sono state inoltrate 222.700 richieste d’asilo, mentre l’anno precedente, prima della chiusura della rotta balcanica le domande erano state 745.500.
Le persone residenti con retroterra immigratorio sono invece più di 19 milioni, ma per comprendere questo dato è necessario fare riferimento alla storia dell’immigrazione almeno a partire dal secondo dopoguerra. Già allora la Germania Ovest fu interessata dall’afflusso di un gran numero di rifugiati provenienti dai territori dell’Europa orientale precedentemente occupati dai nazisti. Parliamo di movimenti di popolazione molto più consistenti di quelli che sono oggi all’ordine del giorno, eppure anche nel panorama desolato dell’immediato dopoguerra fu possibile farvi fronte. Con gli anni Sessanta e Settanta si apre invece una nuova fase, caratterizzata dall’immigrazione di forza lavoro. Sono i cosiddetti Gastarbeiter, originari dell’Italia, della Turchia, della Spagna, della Jugoslavia, dei paesi del Nordafrica. La Germania orientale era meno interessata da fenomeni migratori: anche qui giunsero dei rifugiati dall’est Europa e, a partire dagli anni Cinquanta, lavoratori provenienti da paesi amici come il Vietnam, l’Angola, il Mozambico e Cuba, molti dei quali sono stati formati professionalmente nella Ddr. Per la Germania ovest questa fase termina nel 1973, quando il governo chiude i canali d’accesso per la manodopera proveniente dall’estero. Già a quel tempo c’era chi voleva impedire i ricongiungimenti familiari, perché, come si sente ripetere regolarmente, "la Germania non è una terra d’immigrazione”. Ovviamente la storia lo aveva già dimostrato da un pezzo che la Germania invece è una terra d’immigrazione, ma non si voleva prenderne atto. Ci sarebbero voluti diversi decenni prima che venisse approvata una legge sull’immigrazione. Così, per un lungo lasso di tempo, il paese è rimasto privo delle infrastrutture giuridiche necessarie per gestire il fenomeno. C’erano però leggi sugli stranieri e leggi che regolamentavano il diritto di asilo, ancorato nell’articolo 16 della Costituzione, peraltro in modo restrittivo. Un’ulteriore stretta venne data nel 1992, quando la Germania da poco riunificata dovette affrontare l’afflusso di molti profughi provenienti dalla Palestina e soprattutto dai paesi dell’ex-Jugoslavia. Fu una svolta esiziale: per la prima volta il diritto d’asilo venne limitato soltanto a chi arrivava in Germania direttamente da un paese in guerra. E anche nel caso in cui ci riuscisse, correva comunque il rischio di venir bloccato al confine, sulle navi o negli aeroporti. Anche oggi, come noto, i richiedenti asilo che raggiungono prima un altro paese dell’Unione europea perdono il diritto di inoltrare la loro richiesta in Germania. Per me si trattò di uno strappo gravissimo, perché la nostra storia avrebbe dovuto responsabilizzarci in modo particolare rispetto alla sorte dei perseguitati che, costretti a fuggire dal loro paese, non trovano nessuno disposto ad accoglierli. Anche quando c’erano i nazisti, navi ricolme di fuggitivi erano costrette a vagare per i mari alla ricerca disperata di un approdo sicuro. A quanto pare non siamo stati in grado di imparare quella lezione.
Spesso si parla di un modello francese o inglese per l’integrazione. Esiste un modello tedesco?
Nel 1913, nell’ambito dell’impero tedesco, venne emanata una legge di cittadinanza secondo cui era da considerarsi cittadino tedesco soltanto chi aveva sangue tedesco nelle vene. Questo riferimento allo ius sanguinis ha influenzato in modo significativo la concezione tedes
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