Nel suo libro parla di un vero e proprio circo mediatico-giudiziario. Come funziona? Quali sono le sue caratteristiche e i pericoli per la giustizia e la stampa?
Il termine "circo mediatico-giudiziario" è un’espressione che, dopo aver visto il modo scandaloso in cui sono trattati alcuni grossi casi giudiziari in Francia, ho inventato per stigmatizzare il connubio fra giustizia e massmedia, in seguito al quale la giustizia è diventata spettacolo e i massmedia ausiliarii di polizia.
Naturalmente non bisogna esagerare nella critica né generalizzare: la critica deve essere lucida e applicata dove necessario. Ci sono giudici istruttori a Parigi che sono estremamente prudenti, che non gettano in prigione le persone per fare le inchieste solo successivamente, che pensano sia meglio lasciare la sanzione giudiziaria al tribunale perché loro sono solo degli istruttori. Ma allorché si stringe l’alleanza fra un giudice che segue un’inchiesta particolare e il sistema dei media, il risultato è qualcosa di totalmente contrario allo Stato di diritto, qualcosa di ripugnante, perché crea una situazione in cui un individuo diventa una cosa. Questo è inammissibile, è inaccettabile, ma è molto difficile lottare contro tutto ciò. Se per caso lei fosse l’avvocato di una persona coinvolta in questo tourbillon, dovrebbe battersi in condizioni impossibili: dapprima con il giudice istruttore, poi sul piano politico, se il suo cliente è un uomo politico, e sulla stampa, che non sopporta di essere contraddetta. Il lavoro della difesa diventa così impossibile.
Come si è arrivati a questa situazione?
Il problema viene da lontano e non è certo cominciato con l’esplodere degli scandali politico-giudiziari. Prima degli anni ’70, in Francia, quando scoppiava uno scandalo giudiziario e una persona veniva arrestata, la polizia dava qualche informazione, faceva delle dichiarazioni sommarie, poi c’era un lungo tunnel, quello dell’istruttoria, nel quale il magistrato non parlava affatto, e dopo, quando ormai si era prossimi all’udienza pubblica, erano gli avvocati a parlare per presentare il processo. A partire dagli anni ’70, però, c’è stata una rivoluzione all’interno del corpo della magistratura grazie alla nascita del sindacato dei magistrati nel 1968 che ha voluto rendere l’istituzione giudiziaria più trasparente. Un certo numero di giovani magistrati ha cominciato a spiegare ciò che pensava della giustizia in Francia e a denunciare un certo numero di problemi sociali. Quando, nei primi anni 70, il giudice De Charette andò in una fabbrica per arrestare un "padrone", ritenendolo responsabile di un incidente di lavoro mortale, sul posto, ad aspettare, c’era anche un fotografo! E’ un aneddoto simbolico che indica bene come all’inizio i giudici si siano rivolti ai massmedia per parlare della loro istituzione, per far passare un certo numero di idee politiche, nel senso nobile del termine. E’ nel corso degli anni che alcuni magistrati hanno iniziato a strumentalizzare i massmedia sui procedimenti che avevano in corso. Voglio dire che se oggi un certo numero di giudici, non tutti, è sceso nella mischia mediatica, creando in tal modo una situazione di ibridazione completa fra giustizia e informazione, se siamo arrivati al punto in cui un’ordinanza del giudice Jean Pierre viene pubblicata integralmente sul giornale Le Point perché riguarda il Presidente della Repubblica Mitterrand e il suo entourage, bisogna, allora, osservare le cause immediate, ma anche quelle remote, di questa situazione. La Francia era un paese abbastanza autoritario, nel quale il potere del governo era molto forte e si imponeva anche alla magistratura. Voglio fare solo un esempio che può mostrare fino a che punto eravamo inseriti in un sistema scioccante: quando Le Canard enchainé, giornale satirico parigino, scoprì dei microfoni nascosti nella propria redazione, questo scandalo, nonostante la denuncia del Canard, non ha avuto conseguenze sul piano giudiziario; non c’è stata nessuna condanna, c’è stato solo un non luogo a procedere: la sola condanna emanata è stata quella contro il giornalista che era riuscito a fotografare uno ...[continua]
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