La data è fondamentale: la scuola del Testaccio ha aperto nel marzo del 1976; l’occupazione degli spazi da parte del comitato di quartiere invece risale al settembre del ‘75. Eravamo in un momento di crescita del movimento degli studenti e del femminismo. Ricordo in particolare una manifestazione femminista molto partecipata, nel novembre ‘76, “Riprendiamoci la notte”, che si svolgeva contemporaneamente in tutta Italia, per il diritto delle donne a girare tranquillamente di notte. Era anche un momento in cui si viveva per strada, in collettivo, facendo gruppi e riunioni. Io per esempio facevo parte di cinque collettivi contemporaneamente. Era il periodo della militanza, de “il privato è politico”, che dal femminismo stava filtrando dentro i movimenti politici come elemento di dialettica e di conflitto, a volte anche di disgregazione. Dentro Lotta Continua, Avanguardia Operaia, e gli altri gruppi dell’epoca, si apriva il dibattito sul separatismo, sulla relazione uomo donna all’interno del far politica, e sull’importanza delle relazioni, in assoluto.
L’altro grosso tema di quegli anni, corollario a “riprendiamoci la vita”, era “riprendiamoci la creatività”, uno slogan che, partito dal Sessantotto, come una grande ondata aveva attraversato i movimenti studenteschi elitari, le grandi lotte operaie, il ‘72, gli autunni caldi, l’incontro operai-studenti, i movimenti di base presenti in tutte le scuole superiori, e si era trasformato in un processo di creazione e di diffusione di cultura popolare come non si era mai verificato prima. Strati della popolazione prima esclusi dalla cultura, ad esempio quelli che a Roma chiamiamo i coatti, i borgatari, vi entravano in contatto attraverso il far politica. C’era una diffusione capillare della discussione e del dibattito, che non era solo politico, ma era politico in quanto personale. E allora vivere per strada voleva dire viversi come soggetto collettivo, e quindi significava comunicazione e ascolto.
E poi c’erano le lotte di Basaglia, la riflessione forte sul disagio psichico e sulle soggettività altre, sulle soggettività emergenti, che non si esaurivano soltanto nella classe…
Ecco, la Scuola di Musica Popolare del Testaccio è nata così, in quei locali occupati e in uno dei momenti storici più fecondi della seconda metà del secolo.
C’era stato il referendum sul divorzio, pareva ci fosse il sorpasso del Pci sulla Dc. A Roma, dopo trent’anni di Dc, avevamo un’amministrazione di sinistra, e c’era Nicolini assessore alla cultura, che sicuramente ha fatto tanti errori, tanto effimero, ma anche cose che Roma non aveva mai visto. In Italia cominciavano i grandi festival di teatro, era nato quello di Santarcangelo, era il momento del teatro di gruppo, erano arrivati Grotowsky e l’Odin Teatret; nella scuola, a livello di base, si lavorava con la drammaturgia teatrale e con la musica a livello pedagogico. E poi era arrivato il free jazz dal Nord Europa, era il periodo dell’evento, che coinvolgeva realtà musicali e culturali diverse: i compositori componevano all’istante con ingredienti anche del territorio, bande ecc. Ricordo ancora, al festival di Santarcangelo, Misha Mengelberg che conduceva un gregge di pecore giù verso il paese mentre suonavano quattro zampognari e un ensemble di sassofoni…
Insomma, era uno di quei momenti energetici in cui la cultura subisce scosse particolari, come nella Parigi di inizio Novecento, o la Berlino prima dell’avvento del nazismo.
In realtà, le pedagogie musicali che erano filtrate nella didattica non erano particolarmente moderne, discendevano dai grandi movimenti culturali del primo Novecento. Stiamo parlando di Émile Jacques-Dalcroze che operava in Svizzera agli inizi del secolo, di Zoltán Kodály, che aveva elaborato la sua pedagogia negli anni intorno alla seconda guerra mondiale, di Edgar Willems, che lavorava all’educazione dell’orecchio intorno agli anni Trenta.
Per quanto riguarda l’esperienza della scuola, noi facevamo riferimento alla svolta avvenuta nella musica contemporanea dopo gli anni Cinquanta, soprattutto in Italia -ma anche fuori, specie con John Cage- a un diverso modo di concepire la composizione. E quindi il lavoro sul silenzio, sull’alea, l’ingresso dell’improvvisa ...[continua]
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