L’immagine che i comunisti di quel tempo si facevano del mondo e di se stessi è stata già descritta tante volte che mi limiterò qui a rievocare solo due tratti che hanno deciso più profondamente la mia coscienza politica e che, sia pure trasformati in modo assai radicale, hanno continuato ad esercitare la loro influenza nel mio spirito anche quando ho cessato di essere marxista.
Anzitutto la mia adesione al partito comunista non era la risposta a una, sia pure iniziale, esperienza politica nazionale. La scena che fin dall’inizio si era imposta alla mia attenzione non era occupata dall’Italia con i suoi protagonisti e i suoi problemi, e non lasciava in un’ombra rapidamente crescente il resto del mondo. Era riempita dalla furiosa guerra cui partecipavano popoli di tutta la terra e dalle sue conseguenze che si chiamavano Rivoluzione russa, Repubblica tedesca, dissoluzione dell’Impero austriaco e di quello turco, Società delle Nazioni, inflazioni, scioperi e sommosse proletarie, scissione del socialismo, Internazionale comunista, controrivoluzioni antibolsceviche. Per molti miei coetanei la guerra mondiale è stata la matrice di un nazionalismo forsennato. Io sono stato invece fra coloro che da essa hanno appreso una insormontabile antipatia per le parole stesse di nazione e patria e per la loro pretesa di accaparrare l’anima umana. Il comunismo di Lenin e di Trotski con la sua severa condanna di tutti coloro che avevano tradito l’Internazionale, con il suo appello alla rivoluzione socialista mondiale, di cui quella russa non voleva essere che il preludio, era la grande esperienza sovranazionale che veniva incontro al mio spontaneo cosmopolitismo. Diventando comunista non era tanto contro il fascismo italiano e per una ideale Italia che mi schieravo, ma contro il capitalismo e l’imperialismo mondiali e per un ordine nuovo mondiale.
Una seconda caratteristica aveva il mio impegno, di cui (fatta eccezione delle recentissime pagine di Djilas) non trovo normalmente cenno in quanti hanno scritto della propria esperienza comunista. Quel che ho potuto osservare mi ha indotto a pensare che al comunismo si aderisce per varie e complesse ragioni, ma che sempre predomina l’uno o l’altro di tre motivi di fondo. C’è chi è spinto soprattutto dalla rivolta morale contro le ingiustizie sociali ed è attratto perciò più che da ogni altra cosa dall’invito alla lotta contro di esse e dalla promessa della palingenesi sociale dell’umanità. Altri sono spauriti dal disordine, dall’incertezza e dall’impotenza che sembrano sprigionarsi, in certi momenti storici, dalla libertà politica; e nella loro ansiosa ricerca di sicurezza spirituale sono affascinati da un partito che chiede obbedienza e dedizione totali e assegna a ciascuno un compito certo e quotidiano, esponendolo magari alle persecuzioni e alla morte ma dandogli la certezza serena di essere saldamente e completamente integrato in un ordine superiore. Infine c’è chi diventa comunista (o perlomeno lo diventava in Europa una trentina d’anni fa, poiché credo che oggi questa sorgente si sia inaridita da noi e che getti ancora solo in Asia e in Africa) perché agitato dalla passione politica della azione e del comando e sedotto da una organizzazione che si presenta come un clero, depositario delle segrete leggi che regolano la morte delle vecchie e la nascita delle nuove società umane, e dec ...[continua]
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