26 dicembre 2019. Le regole
Sul “Foglio”, in un bell’articolo, Giuliano Ferrara è feroce contro Trump, definito un vero “gangster” che dovrebbe stare in galera piuttosto che alla Casa Bianca. Sottoscrivibile, certo. E però, poi, Ferrara non riesce a non irridere gli intellettuali americani che irridevano Berlusconi: “Un uomo perseguitato dalla malagiustizia e dal suo uso politico, un tipetto certo disinvolto ma osservante delle regole di fondo cento volte più di Trump”.
A parte il fatto che anche Trump accusa la malagiustizia e il suo uso politico, la qual cosa, però, potrebbe essere solo una coincidenza, ma Berlusconi sarebbe “cento volte” differente? Anche se non si ha alcuna fiducia nella magistratura, nelle sentenze, nei fatti accertati, come si può escludere al cento per cento che anche Berlusconi sia o sia stato un “gangster”? Cosa fa testo? Le garanzie di coloro che l’hanno frequentato, quasi tutti, a vario titolo, alle sue dipendenze? Non è probabile, invece, che tutta questa differenza la faccia semplicemente il fatto che l’America è un teatro dove si recita Shakespeare mentre l’Italia un piccolo teatrino di periferia dove si fa del varietà? Ma più ancora colpisce, in quelle tre righe l’espressione “regole di fondo”. Quali sono? Sono scritte da qualche parte? Ferrara ce le può indicare per favore? E tutte le altre, quelle che poi regolano la nostra vita quotidiana e che, ad esempio, ci dicono se siamo educati o maleducati, se siamo onesti o disonesti, se siamo sinceri o bugiardi, se siamo di parola o no, se siamo fedeli agli amici o no, quelle si possono violare disinvoltamente? E non è che, proprio violando quelle, le “superficiali”, ai nostri ragazzi si prepara la strada per andare più a fondo?

7 gennaio. La sproporzione
Quel che impressiona di più è la sproporzione. Finora la praticava Israele e con qualche giustificazione, vista la sproporzione della minaccia. Ma se ad adottare la modalità della sproporzione è la più grande potenza mondiale che non corre alcun pericolo mortale, siamo di fronte a una svolta forse tragica. E ci basta pensare che in certi casi può funzionare? Certo, può anche funzionare. Se di un terrorista, come propose un noto storico israeliano, andassimo a colpire il padre, i fratelli e le sorelle, qualche risultato lo otterremmo. Così come se mandassimo a morte i corrotti, come fanno in Cina. Ma alla lunga? In realtà la sproporzione distrugge ogni idea di giustizia, che pure nella sua versione più ancestrale (e che oggi consideriamo addirittura disumana) sanciva “occhio per occhio”. Possiamo pensare seriamente che abbia un qualche fondamento politico, e antropologico, l’idea, di certo moralmente ripugnante, che in politica internazionale conti solo la prepotenza?

18 gennaio. Salvini e Prodi
Lasciamo perdere l’autolesionismo che, comunque, non sempre è un buon argomento e mettiamo pure da parte le argomentazioni giuridiche, in questo caso ben poco interessanti, ma il fatto che buona parte della sinistra non finisca mai di essere “doppia”, nei pesi e nelle misure, di questo, sì, bisognerebbe parlare. Se per aver tenuto ferma per qualche giorno nel porto di Augusta una nave della Guardia costiera con a bordo 130 migranti autorizziamo il procedimento giudiziario contro Salvini per sequestro di persona, e in cuor nostro desideriamo ardentemente che sia condannato e finisca in galera, cosa avremmo dovuto fare, e desiderare, per il venerato Prodi, che nel 1997, da primo ministro, autorizzò un pattugliamento delle coste albanesi, che, a detta di tutti, non era che un blocco navale mascherato e che ebbe come conseguenza lo speronamento da parte di una nostra nave militare di un battello carico di migranti albanesi? Il battello affondò e di migranti ne morirono 108. Se tanto ci dà tanto, Prodi, anche solo per responsabilità oggettiva, sarebbe dovuto tornare a essere un uomo libero solo da qualche anno.

20 gennaio. Mea culpa
Noi, chi ci legge se ne sarà forse accorto, siamo iper-autocritici e in quello che succede e che è successo andiamo sempre a cercare i “se”. Così ci ha colpito nel vivo un intervento sul “Foglio” di Adriano Sofri in cui stigmatizza come masochistico, e insieme megalomane, la tendenza a mettere sempre in correlazione le avanzate della destra con gli errori della sinistra. Ora vorremmo cogliere l’occasione per dir qualcosa su questa nostra propensione, forse anche un po’ patologica, al “mea culpa”. Che la destra esista e possa vincere a prescindere dagli errori della sinistra chi mai potrebbe negarlo? Semmai dovremmo esagerare all’inverso: la destra, liberale o illiberale che sia, ha dimostrato di essere ben fondata nel passato e nel presente, mentre la sinistra, che vuol cambiare il mondo, ha spesso dovuto ricredersi sui fondamenti su cui basava il suo ottimismo. Se la destra l’acqua della sfortuna e dell’ingiustizia la guarda andare al mare, limitandosi a lavorarci attorno, la sinistra vorrebbe riportarla in montagna. è ben diverso. Data una tale premessa sarebbe ridicolo pensare che la sinistra perda solo se fa errori. Detto questo però, fra destra e sinistra c’è una lotta, una contesa e come possiamo escludere che si possano commettere errori “enormi e tragici”, che possano anche condizionare, e pure decidere, l’esito dello scontro contingente? “Enormi e tragici”, come li chiama Sofri, sono due parole estreme. Cosa c’è di più forte?
Allora: Livorno fu un errore enorme e tragico? Certamente. Favorì l’ascesa del fascismo? Certamente. Fu decisivo in questo? Forse no.
Dire che analizzare i propri errori è fondamentale per non commetterli più imbarazza anche, visto che ce lo insegnano alle elementari. Si può esagerare per megalomania e masochismo? Può darsi, ma anche se fosse, sarebbero comunque preferibili al fatalismo e allo storicismo che, a suo tempo, hanno fatto dire a tanti di noi che “non si poteva non essere comunisti”. No, si poteva eccome!
Ma per fare esempi di “errori” più vicini a noi, e meno epocali: pensare che in una situazione di grande complessità come l’odierna, la risposta dovesse essere un forte accentramento dei poteri (realizzato attraverso una riforma costituzionale e una nuova legge elettorale iper-maggioritaria, il tutto, per di più, portato avanti grazie a un premio di maggioranza esorbitante e “incostituzionale”) forse è stato un “enorme” e potenzialmente “tragico” errore, perché ha creato un precedente, anche di spregiudicatezza e autoritarismo, che potrà aprire la strada a una riforma analoga, e forse a una repubblica presidenziale, gestite, questa volta, da una destra dominata da sovranisti ed ex-fascisti; oppure, a proposito di immigrazione: aver dato l’impressione di “volerli accogliere tutti” e non aver prestato alcuna attenzione alle paure che si diffondevano nel mondo del lavoro, fra i pensionati e fra i residenti dei quartieri popolari, tacciandole, anzi, di essere sintomi inequivocabili di razzismo, è stato un errore “enorme” e potenzialmente “tragico”, perché ha aperto la strada a una declinazione, a uno sfruttamento, “malvagio” di quelle paure. E se è vero che Salvini ha un dieci per cento in più grazie a quell’errore (come ebbe a dire la Ghisleri), beh allora, forse val la pena (una pena senza piacere) di parlare più spesso fra di noi dei nostri errori.

22 gennaio. La fila
Degli amici di Santa Sofia, un paese dell’Appennino romagnolo dove una grande “industria del pollo” dà lavoro soprattutto a immigrati, assicurano che molti di loro voteranno o tiferanno Lega. I penultimi non vedono di buon occhio gli ultimi. Le “larghe vedute” sono sempre più una specie di lusso per chi è avanti nella fila.

23 gennaio. Il due per mille
Fa male al cuore sentire raccontare che i dati del due per mille registrati alle Cgil “sono inquietanti”. Fa male sentire un amico raccontare che parlando in modo accorato della caduta dei valori universalistici con tre suoi amici delegati Fiom, s’è sentito rispondere: “Di questo noi in fabbrica non possiamo parlare e non parleremo”. Forse, però, fa altrettanto male sentire gente del Pd scagliarsi contro tutti i leghisti in quanto “fascisti”, “razzisti”, “nazipopulisti”, “buzzurri”. Abbiamo sentito qualcuno dire a proposito degli ex-compagni di partito (ma non ex di sindacato): “Quelli erano fascisti anche prima”.

30 gennaio. Quel “ma”
Forse l’equivoco di quel “ma” è stato nefasto. Premesso che “ma” è una parola fondamentale della vita umana e della sua complessità, della ricerca della verità e quindi dell’onestà e libertà intellettuale degli uomini, una parola quindi decisiva della democrazia, e premesso però anche che è una parola delicata, che a parole come “razzismo” e “antisemitismo” o a nomi come Auschwitz o Kolima o Srebreniza non può mai essere associata, e se anche, a volte, potrà seguire la parola “omicidio”, non potrà mai farlo con la parola “stupro”; premesso tutto questo, si può ben dire che avere accostato quasi da subito a “immigrazione” la parola “razzismo” non poteva che portare all’uso del “ma”. Se si parla di flussi immigratori si parla di fenomeni che, da sempre, fra l’altro, si manifestano in ogni parte del pianeta, dando adito a paure, a scontri, a ghettizzazioni, ma anche a incontri, ad amicizie, a integrazioni. Ora, se a coloro che esprimono un malessere, delle paure, un’insofferenza a causa di problemi insorti o anche solo immaginati, da subito si fa balenare l’accusa di razzismo, verrà loro del tutto spontaneo dire: “Guarda, non sono razzista, ma…”. Ma cosa? Ma che qui si sta parlando di immigrazione!
Ecco che quel “ma”, in questo caso legittima reazione a un’associazione illegittima, diventa la prova, colta in flagranza, del reato di razzismo. A pensar male verrebbe da sospettare che, per tanti, indurre al “ma” sia stato lo stratagemma per avere un nemico da stanare.
Gianni Saporetti