Cari amici,
in Marocco mi è capitato spesso di visitare sinagoghe e altri luoghi significativi della un tempo numerosa comunità ebraica marocchina. Ogni volta ho incontrato persone sensibili, di religione islamica, che custodiscono tali luoghi con cura, per le visite dei turisti, spesso ebrei di origini marocchine che ritornano per riappropriarsi di quel legame spezzato troppo rapidamente nelle varie ondate di fuga dal Marocco a partire dall’indipendenza e fino al 1967, l’anno della Guerra dei sei giorni, ultima data importante di questa ulteriore diaspora.
Simone Bitton, ebrea araba, quale dichiara essere la sua primaria e più forte identità, cui se ne sono aggiunte altre come la francese, ha filmato il suo personale ritorno dopo tanti anni ai luoghi della memoria in “Ziyara” (una produzione belga, francese e marocchina del 2020), lungo e piacevole documentario trasmesso in Italia da Filmaker festival nel mese di dicembre.
Ziyara è la visita ai santi, spesso santi condivisi da musulmani ed ebrei nel sincretismo religioso tipico del Marocco. Il viaggio e gli incontri della Bitton spaziano da Casablanca, dove c’è l’unico Museo di cultura ebraica del mondo arabo islamico e dove la curatrice musulmana racconta di come sia abituata a pronunciare il rituale “Bismillah” ogni volta che prende in mano un rotolo delle numerose antiche Torah ivi custodite; passando per Fes e Meknes, nei cimiteri ebraici, dove la custode, un’altra donna musulmana, racconta di come abbia imparato l’ebraico da autodidatta per poter indicare ai visitatori le tombe dei parenti; fino all’estremo est del Marocco per ritornare poi verso l’Atlantico, passando per l’Atlante, a Demnate, dove un rituale accomuna molte donne, un tempo ebree come musulmane, alla ricerca di una benedizione in favore della fertilità, perché, come dice il custode del piccolo museo locale: “Le benedizioni dei santi sono rivolte a tutti, ebrei come musulmani”. Di fronte a una vecchia valigia esposta nel museo, lo stesso conclude: “Spero che torneranno con le loro valigie”. Perché la domanda che si pongono molti dei marocchini incontrati nel viaggio di Simone è: “Che cosa sarebbe oggi il Marocco se gli ebrei fossero rimasti?”.
Penso sia davvero importante che una tale consapevolezza si faccia spazio nella mentalità marocchina odierna a partire dal basso, dalle voci di piccoli testimoni e custodi del passato.
Del tutto diversa risulta la sensazione provata con la notizia del riconoscimento da parte degli Stati Uniti di Trump, presidente non riconfermato ma iperattivo nel suo finale di mandato, del Sahara Occidentale come marocchino e dall’altro lato della stessa medaglia, della riapertura di relazioni diplomatiche tra Marocco e Israele che era già nell’aria da tempo e appare oggi quasi una sfida verso una popolazione che si sente ancora molto vicina alla causa palestinese ed è conseguentemente abbastanza ostile allo stato ebraico. Il tutto in un quadro di transazioni anche economiche e militari piuttosto inquietanti.
Sarà necessario attendere l’iniziativa del neo presidente Biden per capire come gli Stati Uniti intenderanno proseguire una tale presa di posizione politica, che vedrebbe tra l’altro l’apertura di un consolato a Dakhla (mossa simmetrica all’apertura dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme).
è certo che alcuni analisti internazionali già inneggiano all’alleanza sunnita moderata (?) che vedrebbe nel riconoscimento dello Stato di Israele un nuovo fronte contro il nemico tradizionale sciita o più recentemente in contrasto all’attivismo della Turchia nel suo fiancheggiamento, dal proposito egemonico, ai Fratelli musulmani. Un fronte che conterrebbe al suo interno l’Arabia Saudita, noto paese moderato e liberale...
Il re del Marocco, nonostante le gravi condizioni di salute e i timori relativi alla tenuta del regno, ha dimostrato come al solito una grande capacità politica, tessendo pazientemente la sua tela africana e internazionale mentre non mancava di governare le crisi interne: l’apertura di diversi consolati nel Sahara Occidentale come riconoscimento della legittimità dell’occupazione marocchina è anche frutto del rinnovato attivismo del re in Africa, dove è riuscito a bilanciare a suo favore l’orientamento di molti paesi. Giova la difficile situazione in cui versa l’antagonista tradizionale algerino e una situazione mondiale per cui la causa dei saharawi ha via via perso d’interesse e centralità, fino a quasi scomparire per rimanere ai ...[continua]

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