Cari amici,
un amico emigrato con la famiglia a Torino mi confidò del suo difficile rapporto col padre, soprattutto nel periodo in cui quest’ultimo era stato il primo a emigrare e ritornava saltuariamente in Marocco dalla famiglia. Le enormi attese del figlio si scontravano ogni volta con la delusione nel riscontrare che il padre era capace di esprimere soltanto con rabbia e violenza il peso della sua responsabilità, annichilendo negli anni le potenzialità del rapporto col figlio. Ora che il mio amico è anch’egli padre confessa di non aver mai perdonato il suo e s’è rassegnato a una relazione monca, dichiarando peraltro che la sua paternità avrà caratteristiche opposte. In molte case marocchine, nell’assenza di quadri che non siano rappresentazioni religiose e preghiere, campeggia una foto del capofamiglia, autorità quasi assoluta della dimora. È il riflesso dell’autoritarismo che si respira nel paese, dove indiscusso regna il monarca. Proprio in questo periodo è uscito un bel docu-film di Andrea Parena che tratta il tema del rapporto padre e figlio nella cultura marocchina che va trasformandosi, con certe reticenze, nel confronto con l’esperienza migratoria. In La vita in mezzo, Omar tenta di emanciparsi nella difficile realtà di giovane migrante a Torino al seguito della famiglia e proprio quando, col ritorno dei genitori nella terra madre, potrebbe esprimersi con maggiore autonomia, opta invece per antiche tradizioni, chiedendo alla madre di scegliere per lui la futura sposa. Il rapporto tra padri e figli non è facile in nessuna cultura e l’emigrazione non fa che complicare le cose, offrendo peraltro opportunità nuove. Le stesse che non pare dare il Marocco ai suoi cittadini.
Nel paese la parentesi del Covid sembra chiudersi, la gente non pare percepire il pericolo, tanto che pure nei luoghi chiusi si fa scarso uso della mascherina e personalmente non ho mai assistito a un controllo del green pass, qui obbligatorio praticamente ovunque. Ciò avviene nonostante continui con convinzione la campagna vaccinale e lo stato d’emergenza sia stato prorogato ulteriormente. La paura risiede infatti a livello governativo, tanto che da un giorno all’altro è stato sospeso il traffico aereo con la Francia e subito dopo decretata una chiusura totale della frontiera del Marocco per le successive due settimane.
Ho riscontrato in questo periodo come il traffico automobilistico a Casablanca sia vistosamente aumentato e ciò potrebbe significare una certa ripresa economica. Non nel settore turistico: se a Marrakech si vedono i primi stranieri siamo però ben lontani dalle percentuali cui la città rossa era abituata prima della pandemia. Pure in Marocco si registra un’inflazione in aumento, tangibile sul prezzo di benzina e gasolio così come per alcuni beni alimentari.
Le elezioni di settembre sembrano passate in sordina e sono state in realtà un terremoto, certamente relativo alla poca credibilità di cui gode la politica tra la popolazione. È aumentata la percentuale di votanti e sono entrate più donne in parlamento e al governo, ma in sostanza si è trattato di una sorta di restaurazione avallata dal consenso del voto, quella che ha condotto al potere il partito liberale “degli indipendenti”, l’Rni del potente Akhannouch, insieme ai conservatori dell’Istiklal e al Pam (Autenticità e modernità), partito che era nato con grandi aspirazioni egemoniche filo monarchiche e che aveva dovuto invece stare all’opposizione per anni mentre governavano i suoi principali antagonisti, gli islamisti del Pjd, del carismatico Benkirane e poi del suo scialbo successore El Othmani. Quest’ultimo, a capo del governo senza una reale autonomia nei precedenti cinque anni, ha accumulato una serie infinita di errori, probabilmente inevitabili. Come la riapertura dei rapporti con Israele sotto l’egida compiaciuta degli Stati Uniti e il sostegno del potente alleato oltre oceano alla causa del Sahara marocchino. La bruciante sconfitta elettorale n’era dunque il forse scontato epilogo. Una delle prime mosse del nuovo governo muove dal neo ministro della giustizia. Da lui si attendeva una mossa di clemenza verso i detenuti di Hirak ancora in carcere con pesantissime sentenze. Invece il ministro si è preoccupato innanzitutto di ritirare il progetto di legge di riforma del codice penale in stallo da tempo in parlamento, lo stesso che prevedeva una norma contro corruzione e conflitti di interesse nella pubblica amministrazione. Non è un caso che si ...[continua]

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