In realtà, nel settore agricolo la questione è particolarmente grave da molto tempo, soprattutto nel produttivo settore vitivinicolo, dove la mancanza di personale (addestrato e non) costringe molte aziende che sarebbero disposte ad assumere secondo Ccnl direttamente molti lavoratori per le attività stagionali, a ricorrere a sedicenti cooperative o piccole srl intestate a stranieri per non far marcire il prodotto. Queste ultime risultano aziende che intercettano facilmente i lavoratori stranieri bisognosi di reddito perché promettono una assunzione a tempo indeterminato e, pur pagando salari da fame, permettono a chi ci sta di avere un reddito per tutto l’anno e non solo per il periodo stagionale. Quando vengono pagati, ovvio…
Questa è la breve storia di una piccola azienda agricola che, non reperendo sufficiente manodopera sul mercato e dovendo raccogliere la frutta di stagione, ha dovuto ricorrere per anni appunto a una di queste organizzazioni (intestate a stranieri, ma con compiacenti commercialisti e consulenti del lavoro italiani dietro) trovandosi all’esito inguaiata con l’accusa infamante di “caporalato”.
Meglio chiarire da dove viene questa definizione. Negli anni Sessanta, essendo vigente al tempo un regime di monopolio pubblico del collocamento, l’intermediazione e l’interposizione di manodopera in forma privata erano vietate in forza della legge n. 1369/1960. Tuttavia, la crescente necessità di sbloccare la stagnazione produttiva e di prevedere fattispecie contrattuali più flessibili si tramutò nell’approvazione della legge n. 196/1997 (Pacchetto Treu), che introdusse, oltre al lavoro interinale, le prime modifiche al divieto sopramenzionato. Nello specifico, venne alleggerita la rigida regolamentazione dell’interposizione e dell’intermediazione, prevedendole non più come illecite a priori, ma solamente in dipendenza della natura illegittima o legittima dell’intermediario (agenzie del lavoro, ecc.). Successivamente, con l’abrogazione della legge n. 1369/1960 a opera del decreto legislativo n. 276/2003, che ha sancito la completa rimozione del divieto originario della interposizione di manodopera, si è assistito a una liberalizzazione delle forme di decentramento produttivo e di esternalizzazione del lavoro. La normativa in questione ha poi subìto successive modifiche a opera del decreto legislativo n. 81/2015, che ha soppresso il concetto di commisurazione fraudolenta, e del decreto legislativo n. 8/2016, che ha sancito la depenalizzazione delle interposizioni irregolari. Infine, la legge n. 199/2016 in materia di caporalato ha riformato l’articolo 603-bis nel Codice penale, prevedendo la punibilità per lo specifico reato di sfruttamento dei lavoratori, non solo per l’intermediario, ma anche a carico dell’utilizzatore di manodopera.
Cosa dice l’art. 603-bis? L’articolo prevede in primo luogo lo svolgimento di una attività organizzata di intermediazione caratterizzata dallo sfruttamento dei lavoratori mediante violenza, minaccia o intimidazione. Specifica però che l’attività di intermediazione si realizza “reclutando manodopera” o “organizzandone l’attività lavorativa”. A differenza della prima, la seconda azione descritta andrebbe oltre la semplice intermediazione in quanto viene sanzionato non solo chi fornisce manodopera all’utilizzatore, ma anche chi organizza e dunque “dirige” i lavoratori reclutati.
Ma in che cosa consiste il concetto di “sfruttamento”? Per il legislatore costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:
1. la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo “palesemente” difforme dai contratti collettivi nazionali di lavoro o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro prestato;
2. la sistematica violazione della normativa relat ...[continua]
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