Le statue delle pioniere del femminismo sono spuntate dalle acque della Senna il giorno in cui si sono inaugurate le Olimpiadi. Nel giro di pochi giorni l’impari incontro di boxe femminile ha accompagnato la mia lettura di Vietato a sinistra. Dieci interventi femministi su temi scomodi (Castelvecchi). Le tre cose mi hanno fatto ritornare ai primi anni Ottanta quando, sulla scorta degli studi di Anna Rossi-Doria, studiavo le vicende del femminismo, di come il cammino di emancipazione delle donne in Europa fosse stato ostacolato, nei modi e nelle rappresentazioni almeno quanto, circa un secolo prima, era stato ostacolato il cammino di emancipazione degli ebrei. Con scarto di qualche decennio, misoginia e antisemitismo, come noto, hanno avuto e forse hanno storie simili. Già allora qualche segnale allarmante veniva dal movimento femminista più radicale americano, avvisaglia della imminente tempesta woke, confortata dal lavoro di storici delle idee disposti a riscoprire autori di dubbia provenienza. Da noi, come fioriva un gramscismo di destra, fioriva un weiningerismo di sinistra che conduceva un editore come Feltrinelli a stampare come nuova (1978) la vecchia traduzione di Evola a Sesso e carattere di Otto Weininger. Una fluidità politica, non ancora di genere, pericolosa per chi intenda difendere i diritti dei deboli e dei sottomessi.
Nel libro di Castelvecchi, con le carte in regola, ricercatrici, attiviste, docenti, anche ex militanti di partito, hanno deciso di mettere in fila i cosiddetti temi “divisivi”. La cosa ha una certa rilevanza, perché il femminismo italiano ha da sempre avuto uno stretto legame con il mondo della sinistra, ma con inquietanti sbandamenti (la più fanatica lettrice di Weininger fu Sibilla Aleramo). Il libro arriva in un momento in cui i tanti femminismi sembrano essere chiusi in piccoli gruppi diffidenti e litigiosi. Identità di genere, gravidanza per altri, sex work, farmaci per bloccare la pubertà, trans che occupano gli spazi delle donne, ecc., sono diventati oggetti contundenti da lanciarsi l’una contro l’altra.
L’identità di genere, si dice, nega l’unità psicofisica di ogni corpo. A me sembra una rivincita postuma di Sesso e carattere. Julius Evola parlava di “metafisica del sesso”, temo seriamente che si vada oggi affermando una “metafisica del gender”. Weininger indicava con M (Mann) l’Uomo assoluto e con W (Weib) la Donna assoluta. In ogni uomo e in ogni donna, l’elemento maschile si combina con l’elemento femminile in modo da formare individui intermedi, nei quali s’alterna, in percentuali infinite, la preponderanza dell’uno o dell’altro sesso. Al modello ideale di Uomo assoluto vanno ricondotte le esperienze umane inibite alla Donna assoluta: la logica, l’estetica, la figura del Genio, la Memoria, il problema del tempo, l’umorismo e tante altre cose ancora. Gender per tutti, quindi, sia che si parli di una donna di sesso femminile o di una donna di gender femminile, e via così di dicotomia in dicotomia. Ci si chiede con ragione nel volume di Castelvecchi: “Forse abbiamo davanti una nuova èra che tende all’insignificanza del soggetto sessuato? Forse un revanchismo misogino di maschi che intendono riprendersi di nuovo l’autorità assoluta?”.
Della ricezione novecentesca dell’opera di Weininger, di cui mi ero occupato nei lontani anni Novanta, qualcosa sembra di riascoltare oggi. Nel dibattito italiano a me sembra domini una grande confusione. Un conto è l’ideologia gender che le studiose femministe hanno elaborato negli anni Ottanta; infatti è chiaro che il mito dell’ideologia gender sia stato costruito da forze reazionarie, ma ormai è chiaro che al centro del dibattito attuale vi sia l’identità di genere intesa dalle legislazioni sul “gender self-id” (l’autodeterminazione di genere), che a me sembra una postuma rivincita della sessuologia weiningeriana tradotta in “gender affirmative medicine”. Su questo sfondo le donne e anche gli omosessuali saranno sempre più deboli, i loro diritti sempre più vilipesi. Femminicidi, atti omofobici e purtroppo da poco anche antisemitismo sono all’ordine del giorno. Anche Weininger negava l’idea che esista un sesso attribuito alla nascita e contro gli ebrei in carne e ossa diceva di non avere pregiudizi. Su che evidenza empirica si basino teorie di questo genere nessuno lo spiega, chi difenderà gli spazi femminili nello sport e quale autorità misurerà la fluidità pure. Il concretismo  è sempre merce rara in una cultura predispo ...[continua]

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