Il mio intervento si colloca alla fine del Settecento nella Francia rivoluzionaria, quando il femminismo ancora non esisteva ma non tutte le donne preferivano tacere. Poco dopo la presa della Bastiglia, a Parigi nel 1789 vengono redatti i diciassette articoli della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, un testo d’immensa portata storica il cui valore costituzionale è vivo ancor oggi. Tuttavia quegli articoli, dove i termini “uomo” e “cittadino” appaiono per ben sedici volte, ratificano l’esclusione di più della metà della popolazione francese, ossia le donne. Inoltre, l’articolo I (“Gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti”) trascura come non esistente il problema della schiavitù delle persone di colore, prese con la forza dall’Africa e tradotte nelle colonie per lavorare nelle piantagioni di cotone dei ricchi francesi. Due esclusioni clamorose, per gli osservatori di oggi. E del tutto legittime per gli uomini dell’Assemblea costituente del 1789.
A Parigi in quegli anni c’è una donna che questa duplice esclusione non l’accetta. Si chiama Olympe de Gouges, ed è una donna singolare in più di un senso: innanzitutto perché farà tutto da sola, al singolare; e singolare perché era una donna irruente, indomabile, animata da una straordinaria energia propositiva. Una donna così particolare che molti la considerarono una pazza, quando era solo una donna troppo avanti per il suo tempo.
Mentre gli uomini dell’Assemblea Nazionale redigono la Dichiarazione e cercano faticosamente di patteggiare col re Luigi XVI, a Parigi le cose non migliorano: i poveri sono sempre più poveri, il deficit dello Stato sempre più alto, le istituzioni umanitarie non esistono, gli ospedali sono orribili come le prigioni e non viene preso nessun provvedimento utile a migliorare la vita pubblica. Olympe sente che sono troppe le cose che non vanno. E si colloca senza esitare dalla parte dei più deboli: delle donne, degli uomini di colore, dei vecchi, delle donne anziane e indigenti.
Un primo sopruso da parte del potere maschile lei l’ha subìto fin dall’infanzia, essendo la figlia illegittima di un aristocratico amante della madre, che l’ha seguita nei primi anni e poi abbandonata. Olympe non ha studiato, non ha appoggi, è vedova con un figlio quando approda a Parigi, dove avrà vari amanti, uno più importante degli altri ma che lei rifiuta di sposare, perché contraria al matrimonio. Quando scoppia la Rivoluzione, Olympe avverte che è tempo di farsi sentire, di alzare la voce: da quel momento, lei che non ha studiato e non ha modelli di scrittura femminile alle spalle, si lancia nella redazione dei suoi innumerevoli pamphlet dove denuncia le ingiustizie sociali, le diseguaglianze di classe, lo scandalo delle donne escluse dalla vita pubblica. Nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino il silenzio sulle donne le condanna implicitamente al ruolo di cittadine passive, prive di diritti e da collocare in quelle zone grigie insieme ai bambini, ai vecchi, ai poveri, ai malati di mente e agli attori. Eppure proprio le donne nel 1789 avevano contribuito in prima persona al successo della Rivoluzione, quando avevano guidato il popolo di Parigi in marcia per Versailles e dopo una notte di violenze avevano costretto il re e Maria Antonietta a lasciare la loro bella reggia e tornare a Parigi.
Ma il loro operato non viene riconosciuto. Anzi, gli uomini al potere si tengono alla larga dalle donne che escono di casa per far sentire la loro voce, le considerano un pericolo per la società: “Se permettiamo alle donne di incontrarsi in Assemblea, potrebbero riunirsi insieme a migliaia e aizzare in tutta Parigi un movimento funesto per la libertà”, dirà Dubois-Crancé, membro dell’Assemblea Costituente. E un altro deputato, Buzot: “Le donne che si riuniscono nei club sono tutte donne di malaffare, venute dal fango, sfrontate e svergognate: dei veri mostri femmina con tutta la crudeltà della debolezza e i vizi del loro sesso”. Sentite come spaventa il monstrum donna, come viene insultato e diminuito se solo osa andare al di là del suo triplice ruolo -quello di moglie, madre e sorella- l’unico accettabile. E forse non tutti sanno che nel Settecento per indicare la “donna” era normale uti ...[continua]
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