In televisione e in rete purtroppo si vedono spesso molte foto e notizie sulla guerra disastrosa di Israele a Gaza, e prima anche in Libano, con metastasi in tutto il Medioriente, al punto di far dimenticare del tutto il pogrom spaventoso compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023. Ma anche in Israele, come in molti stati che stanno attraversando evoluzioni populiste e suprematiste, tipo l’Ungheria e gli Usa, ci troviamo in piena crisi costituzionale dal gennaio 2023, cioè già da prima della guerra attuale di cui non si vede la fine. Anzi, il governo accusa chi si è opposto al suo piano di riforme costituzionali, in parlamento e in piazza, di aver incoraggiato i terroristi di Hamas a compiere il loro attacco sanguinoso approfittando di una società israeliana divisa e indebolita. L’opposizione invece accusa la coalizione di estrema destra di aver indebolito le capacità di difesa dell’esercito, dei ministeri e perfino dei servizi segreti col tentativo di una vera e propria rivoluzione costituzionale a favore delle colonie ebraiche estremiste in Cisgiordania e della concessione di un potere incontrollato in mano a politici spregiudicati.
Di che cosa si tratta dunque, in uno stato che non ha costituzione e che si è trovato in eterna emergenza di sicurezza per tutti i settantasette anni dalla sua fondazione?
La redazione e approvazione della costituzione, compito del primo parlamento eletto nel 1949, fu infatti posposta indefinitivamente con la scusa dello stato d’emergenza di fronte ai pericoli esterni e interni, ma soprattutto a causa delle discrepanze ideologiche fondamentali tra i religiosi ortodossi e i sionisti laici di destra e di sinistra e anche del centralismo statista di Ben Gurion. Questi infatti, dopo la Guerra d’indipendenza, preferì mantenere un controllo diretto su un processo di formazione dello Stato che vedeva le ondate d’immigrazione dei superstiti dell’Olocausto in Europa e dei profughi dagli Stati arabi, che triplicarono in pochi anni la popolazione, confrontarsi coi palestinesi che da  maggioranza diventavano minoranza all’interno delle frontiere dell’armistizio. Lo stato di Israele sviluppò il suo sistema politico, legale e amministrativo sulle basi dell’apparato burocratico coloniale e paternalistico del Mandato inglese precedente, con eredità ancora dell’impero Ottomano e con influenze del sistema autonomo dei ghetti ebraici nell’est dell’Europa e del modello socialista quasi bolscevico. Quest’ultimo, grazie al sindacato generale, fu la base organizzativa volontaria della società ebraica in Palestina durante il Mandato britannico: sanità, lavoro, alloggio, consumi, agricoltura, imprese, educazione e anche milizie armate clandestine.  
Il modello della democrazia liberale occidentale incominciò lentamente a penetrare il sistema dopo l’apertura al mondo dell’austera economia iniziale, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, con l’abolizione dell’amministrazione militare sugli arabi israeliani e la fine del monopolio laburista al governo, nel decennio successivo. Già prima erano state approvate alcune “leggi fondamentali”, che avrebbero dovuto a poco a poco formare la costituzione dello stato: sul Parlamento (1958), sulle terre demaniali (1969), sul presidente (1964), sul governo (1968), sull’economia (1975), sull’esercito (1976), e anche su Gerusalemme capitale (1980), sui tribunali (1984) e sul Controllore di Stato (1988). Nel 1992 furono approvate due leggi fondamentali che introdussero appunto i valori egalitari universali della democrazia liberale. Non si fece però una legge che regolasse la legislazione, di modo che anche quelle fondamentali possono passare a maggioranza semplice ed essere modificate o codificate da una maggioranza governativa che è mutevole. Infatti, da quando si è formata una coalizione nazionalista assieme ai partiti religiosi ortodossi, nel 2013, il parlamento a camera unica, controllato dal governo attraverso la maggioranza attuale, ha promosso una legislazione discriminatoria contro le minoranze arabe e contro correnti religiose ebraiche non ortodosse, legislazione culminata nella legge fondamentale della nazione (2018) che sancisce il suprematismo ebraico (per lingua, terre demaniali e sviluppo) sugli altri cittadini. L’opposizione non riesce a opporsi a questa tendenza etnocentrica, e solo la magistratura, in particolare la Corte Suprema, è stata in grado di contenere, di tanto in tanto, alcune leggi e decisioni governative, richiamandosi ai va ...[continua]

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