Rimmon Lavi vive a Gerusalemme.

Ho trovato una rivista cattolica “Terrasanta” del 2014 nella quale si parlava di arabi cristiani che si arruolavano nell’esercito israeliano, mentre ebrei ortodossi rifiutavano la leva militare. è sempre così?
Il prete cattolico maronita arabo-israeliano che convince alcuni giovani della sua piccola comunità ad arruolarsi, malgrado l’esonero etnico automatico, è un fenomeno molto isolato, e molto criticato da tutte le altre comunità palestinesi in Israele sia musulmane sia cristiano-ortodosse. L’attuale guerra, invece, mette in risalto ancora di più l’ingiustizia sociale verso le minoranze: i drusi del nord (che non sono esonerati, data l’alleanza con gli ebrei fin dal 1948) e i beduini del sud (volontari, pur essendo musulmani, soprattutto per aprirsi carriere nelle forze d’ordine) si arruolano ma si sentono discriminati come cittadini di terza categoria.
La legge fondamentale della Nazione del 2018 cristallizza la supremazia ebraica e l’Amministrazione del demanio e della programmazione civile; promuove lo sviluppo solo per città e villaggi ebraici, mentre tende a soffocarlo, anche su terre private, per drusi e beduini. E questo malgrado facciano il servizio militare e abbiano un’alta percentuale di caduti.
C’è un processo di “palestinizzazione” della popolazione non ebraica all’interno di Israele?
No, direi anzi l’opposto. I palestinesi israeliani (circa il 20% della popolazione) comunque sono in un processo d’assimilazione graduale nella società ebraica maggioritaria. Lottano per una maggiore uguaglianza all’interno della società locale e una maggiore partecipazione alla vita civile e politica, da cui finora sono stati respinti dalla destra ma anche dalla cosiddetta sinistra ebraica. E questo malgrado senza la collaborazione arabo-ebraica al Parlamento non ci sia alcuna possibilità di sostituire il blocco maggioritario dei nazionalisti e dei religiosi. Buon esempio di questo processo assimilativo è tra l’altro il loro relativo silenzio (certo sotto la minaccia della polizia) di fronte agli orrori prolungati della guerra a Gaza, ai pogrom dei coloni ebrei armati contro i palestinesi in Cisgiordania.
Invece gli ebrei ortodossi rifiutano la leva: questo come si spiega in una società militarista come Israele?
Questa è una delle contraddizioni intrinseche alla complessità della realtà sociale e politica in Israele. L’esonero era stato concesso da Ben Gurion nel 1949 a poche decine di giovani ortodossi che studiavano nelle Yeshivot, le scuole talmudiche d’origine dall’Europa dell’Est, decimate durante l’Olocausto.
Solo nel 1977 Beghin aveva generalizzato l’esonero per ottenere il sostegno alla coalizione di destra da parte del partito ortodosso non sionista e attivo in politica solo per assicurare finanziamento al loro sistema scolastico privato. In pochi decenni, grazie all’esonero, ai finanziamenti e alla crescita demografica degli ortodossi, non contenuta da un’istruzione moderna e persino incoraggiata da indennità sociali maggiori per ogni nuovo bambino, le comunità ortodosse sono diventate circa il 20% della popolazione! La legge che avrebbe reso legale l’esonero non è stata rinnovata, per paura di essere bocciata dal Tribunale Supremo come non costituzionale. Così il governo si trova in bilico proprio durante questa guerra che mette in luce la disuguaglianza tra le varie “tribù” della società israeliana nello sforzo militare e nel pericolo.
Teniamo presente che sia l’esercito di leva, sia i riservisti, sono ormai estenuati dopo quasi un anno di una guerra che è costata già settecento caduti, senza che si intraveda una soluzione né a Gaza, né in Libano con Hezbollah, né in Cisgiordania. Infatti all’interno della coalizione di governo questo rifiuto alla leva è condannato sia dalla destra nazional-religiosa che è sempre più bellicosa, occupa sempre più i ranghi di comando dell’esercito, presiede le statistiche dei caduti e sostiene i pogromisti ebrei nei territori occupati, sia dai nazionalisti laici in nome del principio egalitario, sia dai religiosi d’origine orientale che per lo più si arruolano.  
Ma c’è qualche speranza di un cambio di direzione rispetto a quella del puro conflitto?
Purtroppo non c’è in Israele una sinistra che, per risolvere il conflitto, proponga un’alternativa, che non potrebbe che essere fondata sulla promozione di un’eguaglianza sociale tra tutti i cittadini, arabi ed ebrei, laici e religiosi, al di là delle “tribù” etniche, ...[continua]

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