I nostri abbonati sanno che non usiamo fare polemiche ad personam. Questa sarà l’eccezione che conferma una regola.
Mentre pubblichiamo qui sopra due appelli di solidarietà con la stampa libera algerina, non possiamo non parlare di un altro appello, che sta circolando in ambiente accademico, rivolto al rettore dell’università cattolica di Lovanio. Con toni accorati gli si chiede di recedere dalla decisione, già presa, di attribuire una laurea honoris causa a Khalida Messaoudi perché «è lontana dal rappresentare la lotta multiforme delle donne algerine», perché «l’attribuzione di questo titolo non renderebbe un servizio né alla causa delle donne algerine, né a quella della pace in Algeria, né alla stessa persona in questione che voi rischiate di votare a un isolamento definitivo nel suo paese, rendendo impossibile la sua partecipazione a ogni dialogo ‘senza veti’ su scala nazionale per quanto difficile e tuttavia così necessario» (Capiamo bene quel ‘senza veti’? Mentre Khalida e i democratici intransigenti sarebbero a un passo dall’essere esclusi dal negoziato che gli appellanti continuano ad auspicare, il Gia no?). E ancora: «Noi conosciamo molti interlocutori mussulmani che non potrebbero che rimanere indignati e scandalizzati dal favore e dal credito che voi, purtroppo, siete sul punto di accordare a questa voce militante tanto intransigente quanto minoritaria nel suo paese. Sarebbe dunque un colpo di freno al dialogo e al processo di pace». E ancora: «A seguito di una simile iniziativa, se questa avrà luogo, l’Università Cattolica di Louvain-la Neuve, celebre per il suo equilibrio, la sua apertura, e per essere sempre stata a favore delle buone cause del Terzo Mondo, sarebbe percepita, d’ora in avanti, da molti interlocutori mussulmani, attualmente impegnati in Algeria e altrove, nella lotta per la pace, i diritti dell’uomo e la democrazia, come una partigiana nel conflitto algerino». (Il conflitto algerino! La serie tremenda di stragi di inermi, soprattutto donne e bambini, effettuate da gruppi di terroristi che arrivano all’alba in villaggi dove gli uomini, per lo più, sono a lavorare altrove, viene definita “conflitto”!).
I primi due firmatari sono i professori Anna Bozzo e Gianpaolo Calchi Novati, seguono un’altra decina di firme, tutte di professori universitari. Ora, raramente ci era capitato fra le mani un foglio così subdolo e infame e non riusciamo ancora a capacitarci che delle persone, alcune delle quali di sesso maschile, abbiano osato apporre la propria firma sotto un appello affinché non venga attribuita un’onorificenza a una donna algerina perseguitata perché “intransigente” democratica; a una donna condannata a morte dai terroristi! (Ancora un anno fa il primo nome della lista ritrovata in uno dei covi scoperti in Francia era il suo).

Non staremo qui a difendere Khalida che ci onora della sua amicizia. Visto che si parla di isolamento, e quasi definitivo, ci piace solo ricordare quanto sia stato difficoltoso uscire in sua compagnia dall’aeroporto di Algeri: Khalida veniva fermata ad ogni passo dai vari dipendenti dell’aeroporto; poi andò a salutare una delegazione di sindacalisti arrivati allora e che l’avevano salutata da lontano; poi, poiché non passava un fax che avevamo in valigia, si mise a discutere veementemente con i dirigenti e i gendarmi, che (parve a noi, ovviamente) erano imbarazzati e compiaciuti allo stesso tempo; infine si fermò dalle donne di un’associazione vittime del terrorismo che stavano facendo una colletta. Ora da Algeri sono tornate un’assessora e una dirigente comunale forlivesi e sono rimaste a dir poco impressionate da un giro nel mercato di un comune di Algeri: erano state fermate continuamente da donne che volevano parlare con Khalida, salutarla e farle coraggio, incitarla ad andare avanti.
Noi non sappiamo se la Bozzo o il Calchi Novati siano stati ultimamente in Algeria (del secondo sappiamo di sicuro che dell’Algeria ha letto tutto; lo sappiamo perché l’ha affermato lui, dando anche il numero esatto dei libri, cento e tanti, a un dibattito pubblico di solidarietà; lo portò come argomento a favore delle sue tesi contro i democratici). Se ci dovessero tornare consigliamo loro di farsi accompagnare, durante un’ora di grande traffico pedonale, in un giro in auto per i quartieri di Algeri, compresi Belcour e Bab-el-Oued, famosi, una volta, per essere ad alta intensità islamista e di provare a contare, durante il giro, i barbuti e i veli islamici; per noi è stato facilissimo non perdere il conto. (E tutti dicono che la situazione, da allora, è ulteriormente migliorata; per come vediamo le cose noi, naturalmente). Sarebbe invece troppo chiedere loro di andare in Cabilia. I berberi non sembrano interessare più di tanto gli specialisti nostrani di “identità arabo-islamica”, (L’Rcd? Sì, un piccolo partito a dominanza cabila...). Purtuttavia che la Cabilia esiste non può esser sfuggito loro: cosa propongono? Il Sudan è poco lontano. (E a proposito: un tipo come El Tourabi sarebbe per loro un interlocutore valido?).

Ma anche fosse che i democratici algerini sono minoritari, e allora? La parola maggioranza sembra esercitare un fascino vagamente sinistro sui nostri professori e ci chiediamo qual è la loro idea di democrazia: che la maggioranza vince e poi, se vuole, si mette a deportare ebrei?
Per fortuna all’università di Lovanio conosceranno sicuramente le prese di posizioni di Pierre Claverie, vescovo di Orano, a proposito degli accordi di Roma promossi da Sant’Egidio (gira e rigira è lì che si torna qui da noi, non in Algeria dove Sant’Egidio non è che un brutto ricordo; non c’è alcun dubbio, per esempio, che i prestigiosi pacificatori romani considererebbero uno smacco cocente l’attribuzione di una laurea a Khalida da parte di un’università cattolica); lo citiamo per i nostri lettori: «I gruppi armati coi loro comunicati e i politici islamisti con le loro dichiarazioni all’estero rivendicano e giustificano i crimini più barbari. La “purificazione” etnica e religiosa è raccomandata e praticata dagli uomini del Gia, ne abbiamo le prove formali. Ai vescovi d’AIgeria dispiace che l’iniziativa di Sant’Egidio abbia contribuito a privilegiare il Fis come interlocutore principale del potere. Inoltre i partiti che erano presenti a Roma non sono più rappresentativi dello stato attuale dell’opinione algerina, dopo più di tre anni di violenze suscitate dal Fis, ben prima dell’interruzione del processo elettorale... Il necessario dialogo, compreso quello con gli islamisti, va intrapreso all’interno del paese e deve coinvolgere il potere, ben più inaggirabile del Fis. Sant’Egidio ha rafforzato la polarizzazione esercito-Fis e ritardato la soluzione».
E ancora, in una successiva intervista a “Jeune Afrique Economie”: «Cosa dice il testo adottato con la piattaforma di Roma? La parola “democrazia” figura solo una volta all’inizio, mentre il punto numero 7 evoca un concetto chiaro: la priorità della legge legittima, kanoun el-charii (il diritto legale, cioè divino, in opposizione al kanoun-el-madani, il diritto civile). Questo paragrafo rappresenta il fondamento stesso dell’ideologia del Fis e della sua strategia di conquista del potere. Credo che il processo di uscita dalla crisi e un vero dialogo fra il potere e le diverse componenti dell’opposizione resterà definitivamente bloccato se il Fis e gli altri partiti si aggrappano a questo testo». Claverie scriveva queste parole in polemica con Andrea Riccardi, il capo della comunità di sant’Egidio, che per replicare a Teissier, arcivescovo di Algeri che in una intervista su “Famiglia Cristiana” si era dichiarato contrario all’accordo di Roma, aveva scritto: «Penso che non sia opportuno che un vescovo si schieri contro una delle parti. Occorre che la pace sia fatta da coloro che lottano». Parole rivelatrici: chi terrorizza “lotta”, i legittimati a dir la loro sul futuro sono solo quelli che “lottano”. (Ci chiediamo come potrebbero suonare queste poche parole ciniche alle orecchie di chi è impegnato in una qualche “guerra contro i civili”). Proviamo a immaginare (ammesso che si possa pensare una cosa tanto nefanda) un tavolo di pace fra le parti che lottavano in Europa cinquant’anni fa (anche lì ora si parla di guerra civile): Riccardi prevederebbe un posto a sedere per le vittime della shoah in atto? (Non è difficile, invece, immaginare un vescovo, e di Roma, che non si schiera: allora capitò).
Per fortuna, invece, nel ‘95 il Papa si schierò con la chiesa algerina, una chiesa di martiri, che a quel dialogo islamo-cristiano, tanto caro ai nostri accademici, hanno dedicato la vita. La sera del 1 agosto del ‘96 Pierre Claverie sarebbe caduto sotto i colpi dei terroristi islamisti. Tornava da una cerimonia in memoria dei sette monaci di Tibhirine trucidati nella primavera.

Quanta strada, e bruttissima, hanno fatto parole sante come “pace” e “dialogo”! Ormai si può pensare tranquillamente che in nome della pace e dialogando con i peggiori fascisti o fanatici religiosi si possa sacrificare la libertà di una ragazzina di scegliere fra gonna e jeans o la lingua materna di qualche milione di persone. (Parliamo sempre di Terzo Mondo, per carità: da noi il godimento della libertà è ormai vissuto come un fatto congenito, un patrimonio etnico, e da buoni antirazzisti lo disprezziamo).
Basta l’antiamericanismo di sempre a spiegare perché tanta sinistra terzomondista europea, in cuor suo, ha sempre preferito al dottor Sadi che per aver fondato la Lega dei diritti umani sta in carcere per quasi tre anni, il barbuto Madani che nel ‘91 in tuta mimetica sale le scale del Ministero degli esteri per chiedere di poter mandare volontari in Irak? Perché verso i mussulmani di Bosnia, vittime di un’aggressione orrenda, l’indifferenza è rimasta totale mentre per gli islamisti d’Algeria gli sforzi per capire, e le giustificazioni, e le perorazioni a dialogare con loro, si sono moltiplicate anche quando ormai Madani i suoi volontari li aveva spediti a uccidere maestre di scuola e giornalisti?
Quando è successa questa catastrofe della parola libertà a sinistra? Sospettiamo che le cause risalgano a molto lontano nel tempo, ma non siamo in grado di rispondere: chiederemo. Se però dobbiamo individuare una data emblematica, a noi vicina, e non solo nel tempo, non potremmo che ricordare il giorno in cui i pacifisti tedeschi levarono il grido “meglio rossi che morti”, al tempo del dibattito sull’istallazione dei missili Cruise in Europa; un grido che suonava invequivocabilmente come “meglio schiavi che morti”, l’esatto ribaltamento, cioè, del grido più nobile che l’uomo abbia saputo innalzare nella sua storia. La parola “pace” era passata avanti a “libertà”, i futuri genocidi, massacri, aggressioni, si apprestavano a diventare guerre civili e tutti già sapevano qual è il primo dovere di un buon paciere: interporsi con equidistanza.
(Se abbiamo capito bene oggi i Verdi tedeschi non escludono più la possibilità dell’uso della forza in situazioni come il Kossovo: ci sembra una novità politica molto importante per il futuro dell’Europa).

Djaout ha continuato a parlare sapendo bene che era condannato. Matoub anche. Così i 123 militanti e dirigenti dell’Rcd caduti, i 59 giornalisti uccisi, le maestre di scuola che hanno continuato a tenere lezione, a volte a prezzo della vita, quando le scuole, 800!, venivano attaccate e distrutte. Credevano che la democrazia, la laicità, le libertà individuali valessero anche per loro, valessero per tutti e valessero, se necessario, una lotta mortale: erano solo degli estremisti isolati? Noi pensiamo invece che il loro sacrificio non sia stato affatto vano. Se come ci disse Glucksmann, stiamo affrontando la terza ondata totalitaria del secolo (dopo fascismo e comunismo, quella dei micronazionalismi etnici e dei fondamentalismi religiosi) se questa alla fine perderà forza, se rifluirà, lo dovremo anche a quelle donne e a quegli uomini che nei punti di crisi, l’Algeria in primo luogo, hanno guadagnato tempo prezioso a prezzo della vita. Immaginiamoci l’islamismo dilagare dall’Algeria all’Afghanistan, passando per l’Egitto e la Turchia, e potremo ben immaginare quanto dovremo a quelle donne e a quegli uomini.

L’Europa, e la sinistra europea, non solo hanno fatto orecchie da mercante quando i democratici sono venuti a fare conferenze in Europa per spiegare cosa stava succedendo, per ricordarci che là erano in gioco i nostri valori; non solo li ha trattati con sufficenza e disprezzo, (... cosa volete, sono francofoni), ma non ha esitato a diffamarli, a insinuare che fossero agenti dei servizi di sicurezza algerini, a trattarli da servi del regime (che, invece, da sempre, li perseguitava) perché avevano approvato l’interruzione del processo elettorale avvenuta nel ‘92, con atto di forza, per sbarrare la strada al Fis e alla Repubblica islamica.
Sì, anche Khalida è stata trattata così. Di Matoub dissero che il rapimento se l’era organizzato insieme ai suoi amici, che era tutta una messinscena (soffrì molto Matoub per quella accusa. Lo racconta un suo amico alle pagine 10 e 11). Ma qui vogliamo ricordare il nome di Said Mekbel, giornalista di Le Matin, che di ritorno da un giro di conferenze in Europa, nel novembre del 94, era talmente sconvolto dall’insinuazione apparsa sui giornali europei, di essere colluso coi servizi di sicurezza, che riprese le sue abitudini quotidiane, in un momento tremendo, quando tutti i giornalisti erano già entrati in una specie di semiclandestinità. Lo fece platealmente, apposta, non accettando alcuna protezione da parte dello Stato e non prendendo alcuna precauzione personale. Faceva colazione nello stesso bar di sempre quando fu ucciso.

Non sappiamo se l’università di Lovanio ritornerà sui suoi passi negando la laurea honoris causa a Khalida. Sappiamo per certo che i nostri professori universitari hanno già meritato quella del disonore.
Il 5 luglio scorso, Matoub cadeva nell’agguato degli islamisti, lo stesso giorno usciva nei negozi un cd a cui lui teneva tantissimo (nei giorni successivi avrebbe venduto 400.000 copie). Riportiamo le tremende parole, con cui, concludendo una delle canzoni, Matoub rendeva omaggio a Khalida Messaoudi: A Fellag, a me e a Dilem Ali loro hanno già stracciato il permesso di vivere. Quello che può accadere a Khalida!!! A lei che ha rovinato i loro piani al punto di togliergli il sonno! Neanche è il caso di immaginare cosa le potrebbe capitare se un giorno arriveranno a prenderla!