Anna Foa
Vorrei parlare dell’identità ebraica e delle radici ebraiche di Vittorio, perché lui aveva anche delle forti radici ebraiche. Qualche mese fa gli ho letto una citazione di Freud del 1930 sull’identità ebraica e mio padre l’aveva molto apprezzata e diceva a tutti quelli che incontrava: “Mia figlia ha trovato una definizione in cui io mi ritrovo molto”. Naturalmente prima di lui lo aveva detto Freud e in questo c’era la sua carica di ego e di orgoglio. Ma vi vorrei leggere a questo punto questa definizione, questa frase è tratta dalla prefazione all’edizione in ebraico di “Totem e tabù” del 1930: “Nessun lettore di questo libro troverà facile di mettersi nella posizione emotiva di un autore che ignora la lingua delle sacre scritture, che è completamente estraniato dalla religione dei suoi padri come da tutte le altre religioni, e che non riesce a condividere gli ideali nazionalisti ma che non ha mai ripudiato il suo popolo e che sente di essere nella sua testa un ebreo e che non desidera cambiare questa sua natura. Se gli poneste la domanda: ‘Ma se avete abbandonato tutte queste caratteristiche comuni dei vostri compatrioti, cosa resta in voi di ebraico?’, egli risponderebbe: ‘Moltissimo, probabilmente l’essenziale’. Non potrebbe per ora esprimere a parole questo essenziale, ma un giorno o l’altro sicuramente esso diventerà accessibile alla nostra coscienza”.
... Vorrei con tutto il cuore ringraziare tantissimo la Cgil per questa straordinaria organizzazione di affetto, di stima, di amore, per questa dimostrazione straordinaria che ha riempito di calore il cuore di noi tutti familiari e a nome della moglie, dei figli, di tutti io vi ringrazio Cgil.

Pietro Marcenaro
C’è stato un tempo nel quale i comizi erano ascoltati. Parliamo di un’altra epoca.
I leader politici li preparavano con cura e i ragazzi come me li andavano a sentire tutti, quelli dei partiti più vicini e quelli degli avversari, per conoscere e imparare, anche così, qualcosa di più. Era il giugno 1965 e a Genova c’erano le elezioni amministrative, alle quali il Psiup partecipava per la prima volta dopo la sua costituzione.
In Piazza Verdi, davanti alla stazione, parlava Vittorio Foa. Era una giornata calda, di sole ormai estivo. Non ho mai dimenticato quella figura in canottiera bianca e bretelle rosse che parlava in modo chiaro e stando all’essenziale, per non più di mezz’ora. Il pubblico era ammirato, ma anche un po’ insoddisfatto e alla fine sembrava dire: ancora. E’ il primo ricordo personale che ho di Vittorio.
Non si può capire né conoscere Vittorio senza Torino e senza la Valle d’Aosta e le montagne che di quella Torino sono parte. Anche l’esperienza del carcere -a Regina Coeli o a Civitavecchia- se si leggono le sue lettere sembra in realtà svolgersi a Torino. La formazione e gli studi, la cospirazione, la resistenza e poi l’impegno sui grandi temi della condizione operaia come condizione umana e del rinnovamento del sindacato e della costruzione dell’unità, hanno Torino come scenario.
Ma negli ultimi quindici anni Torino ha invaso anche Formia: per quanto tempo ai primi di novembre si è svolto quel curioso trasporto dal nord al sud di cardi e tapinabò per preparare nella cucina di piazza dell’Olmo colossali bagna caude? E poi quel bisogno fisico e intellettuale delle montagne, un bisogno di respirarne l’atmosfera anche quando i suoi occhi gli rendevano molto difficile vederle e il viaggio da Formia, prima a Cogne e poi a Morgez, diventava ogni anno più faticoso.
Torino e le montagne non erano solo un luogo reale di incontri, di amicizie, di affetti: erano anche il ricorrente ritorno alla sua giovinezza, un rinnovamento della memoria e con essa la ricostruzione di una energia intellettuale e umana.
Prendete due fotografie. La prima ritrae, dall’alto di un aereo, un vasto panorama. La seconda dentro lo stesso paesaggio fotografa in primo piano un fiore. Chi mai penserebbe di stabilire tra esse una gerarchia e sostenere che nella prima c’è più conoscenza che nella seconda e non riconoscere semplicemente due conoscenze diverse? Così tra la memoria di un vecchio e quella di un giovane non c’è una relazione gerarchica tra il più e il meno, ma il confronto tra due memorie diverse.
Molti hanno ricordato lo straordinario rapporto di Vittorio con i giovani: alla base penso ci sia questo riconoscimento che è quello che rende possibile una comunicazione tra eguali. Non credo di esage ...[continua]

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