A otto anni dalla fine della guerra in Bosnia, anche i musulmani originari di quella che dal 1995, con i patti di Dayton, è stata riconosciuta come la Repubblica Serba di Bosnia (Republika Srpska) hanno cominciato a tornare a casa.

Lo Stato della Bosnia Erzegovina (BiH) è composto da due entità, ossia la Republika Srpska (Rs) e la Federazione croato-musulmana (Fbih), e un Distretto (Brcko).
La Repubblica Serba di Bosnia, autoproclamatasi nel 1992 (presidente Radovan Karadzic, con capitale Pale) è una curiosa entità: senza continuità territoriale, si estende a macchia di leopardo sulle città e i villaggi che durante la guerra sono stati oggetto della pulizia etnica da parte delle forze nazionaliste serbe. I patti di Dayton hanno di fatto legittimato l’esito di tale operazione criminale.
A separare le tre entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina sono confini amministrativi; non ci sono i controlli classici che si incontrano tra due stati. Viaggiando nelle aree circostanti Tuzla capita così di entrare e uscire dalla Repubblica Serba senza accorgersene. O quasi: nella Repubblica Serba la toponomastica è rigorosamente, a volte esclusivamente, in cirillico, come pure i nomi dei ristoranti, dei caffè ecc. Prima della guerra non era così. Nella stessa Serbia è raro trovare scritte in cirillico. L’uso della lingua, o meglio dell’alfabeto, qui è prettamente simbolico: l’intera popolazione della ex Yugoslavia è benissimo in grado di leggere e comprendere entrambi gli alfabeti; il cirillico però segnala una precisa appartenenza etnico-religiosa.

Sono arrivata a Tuzla domenica 18 maggio. Se si viaggia soli, con i mezzi pubblici, la rotta classica prevede un arrivo in treno a Zagabria all’alba, intorno alle 5, per poi prendere un autobus, alle 7, che nell’arco di cinque ore e mezza, variabili, porta a Tuzla.
Tuzla è una città della Bosnia nordorientale. Pur essendo stata colpita dalla guerra, non ha subìto i pesanti bombardamenti che hanno martoriato Sarajevo. Tuttavia le varie ondate di profughi cacciati dai villaggi contigui in seguito alla pulizia etnica, oltre 60.000 persone, hanno provocato uno stato di emergenza che ancora oggi pregiudica il ritorno alla normalità dell’intera regione.
Già nel 1992 infatti Tuzla vede arrivare le prime donne rifugiate provenienti dai campi di concentramento, quando ancora i racconti della sistematica pulizia etnica, dei massacri e degli stupri collettivi paiono inverosimili.
Nell’inverno del 1993 la città rimane completamente isolata.
La peculiarità di Tuzla è che, anche grazie alla tenacia e al coraggio dell’allora sindaco, Selim Beslagic, tutta la cittadinanza, senza riguardo per l’appartenenza etnica, rimane unita, anzi si compatta e organizza una difesa civica della popolazione dall’esercito, dai paramilitari e dagli altri gruppi estremisti; proprio questo farà di Tuzla una città “particolare” nel panorama dei centri colpiti dalla guerra.

Tuzla oggi sta ricominciando a vivere. Le strade sono trafficate. I giovani affollano le vie e i caffè del centro, i negozi hanno di nuovo gli scaffali pieni di merce. E tuttavia la città vive una situazione, per certi versi, schizofrenica: la popolazione locale sta molto lentamente riprendendo a vivere, anche se gli investimenti economici tardano ad avviarsi; ma i profughi che, soprattutto dopo la caduta di Srebrenica (1995), si sono riversati in massa nel cantone e nella città di Tuzla, sono ancora stipati nei vari centri di raccolta collettivi sorti all’inizio della guerra. Mihatovici, alle porte di Tuzla, fino a poco tempo fa, ospitava circa 4000 persone, tra cui 800 bambini.
In queste specie di “sale d’attesa”, la gente, perlopiù originaria dalle campagne, per anni è stata costretta all’inazione, chiusa in casette prefabbricate allestite ancor prima che la guerra finisse. Mihatovici, come gli altri campi, sembra essere stato intenzionalmente collocato in un luogo “nascosto” agli occhi della popolazione locale; per accedervi si sale lungo una strada sterrata, molto stretta e ripida, dalla cui cima si apre il panorama di questa piccola città infossata. Forse l’impressione maggiore viene proprio dal tipo di costruzioni: villette a due piani coi muri esterni color pastello, tutte uguali e disposte in file parallele, occupate mediamente da 2-3 famiglie, che significa anche più di dieci persone; a volte con un’intera famiglia per stanza. Al centro si trova la scuola -scelta quanto mai criticata: così i bambini de ...[continua]

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