Il libro Le piazze del sapere (Bari, Laterza, 2009) di Antonella Agnoli ci offre una descrizione estremamente efficace, concreta e dettagliata di come è cambiato il mondo della comunicazione negli ultimi trent’anni e di quali sono, di conseguenza, le qualità e accortezze che i luoghi e gli spazi di organizzazione culturale (nello specifico le biblioteche) devono possedere perché questo cambiamento si traduca in un aumento della capacità di convivenza e di intelligenza individuale e collettiva e non nel suo contrario. E’ un manuale che per qualità di scrittura e per background di esperienza dell’autrice mi ricorda Il banchiere dei poveri di M. Yunus, nel senso che anche Antonella Agnoli ha alle spalle una esperienza di innovazione e invenzione molto controcorrente e di grande successo, come progettatrice e direttrice scientifica della biblioteca San Giovanni di Pesaro (frequentata da centinaia di persone le più diverse) e come consulente nel design dei Concept Stores nel quartiere multi-etnico di Whitechapel a Londra, all’interno dei quali la frequentazione delle biblioteche è balzata dall’ultimo posto nella graduatoria della città al secondo posto, dopo la British Library.
Non essendo una bibliotecaria, ma una esperta di arte di ascoltare e organizzatrice di processi partecipativi, consiglio vivamente questo libro ai presidi e insegnanti, agli urbanisti e a tutti i dirigenti e amministratori per i quali la qualità della convivenza è una priorità.
Mi pare che Agnoli abbia la capacità di far prendere atto anche ai muri che "internet non è un semplice strumento a uso specifico, come il telefono, la radio, la televisione, bensì un nuovo habitat dove siamo tutti immersi, volenti o nolenti” (pag. XI) e che oggigiorno è una priorità assoluta sia per le sorti della economia che per il coinvolgimento dei cittadini e in particolare dei giovani nella vita civile saper sfruttare le possibilità offerte dal nuovo ambiente tecnologico e saper formare adeguatamente i cittadini ad usarlo.
Ciò su cui l’autrice ci invita a riflettere non è solo l’enormità dei cambiamenti prodotti dai computer portatili e da internet, ma la straordinaria rapidità della loro diffusione, per lo più fuori dai circuiti formativi tradizionali. Troppo spesso coloro che denunciano il digital divide, sono proprio coloro che dovrebbero darsi da fare per colmarlo e non lo fanno.
"Nel gennaio 2005 YouTube non esisteva. Fu fondato in febbraio da tre studenti (…). Un anno dopo, il sito aveva già cento milioni di utilizzatori, cioè di persone che immettevano video di produzione propria sulla piattaforma e guardavano i video degli altri utenti, rendendone alcuni immensamente popolari” (pp 27-28). Analogamente l’autrice si sofferma sul travolgente successo di Google, Wikipedia, Amazon e su come tutto porti a ritenere che "l’uso del network mondiale costituito da internet per una produzione intellettuale decentrata, collaborativa e distribuita capillarmente è un fenomeno inarrestabile” (corsivo mio). E prosegue: "Riassumiamo: già oggi un teen ager che abbia in casa un portatile decente (...) può fare le seguenti cose: scrivere un e-mail a un amico o a un parente in Australia; telefonare usando Skype alla ragazza californiana conosciuta l’estate scorsa; cercare su Google notizie sull’ornitorinco o la voce di Wikipedia che riguarda il presidente dello Sri Lanka; leggere "Repubblica”, "Le Monde”, "Frankfurter Allgemeine”, "Asahi Shimbun”; ascoltare un brano di musica acquistato per 99 centesimi su iTunes, o scaricato gratuitamente in un modo qualsiasi; guardare le foto delle vacanze, modificarle, trasformarle in minifilm con colonna sonora; inserire un video di produzione propria su YouTube; inserire propri testi su piattaforme collettive come www.scribd.com o foto su www.flickr.com; creare un blog”...
Domanda di Antonella Agnoli: "Ci sono delle buone ragioni perché questi giovani vengano in biblioteca?”. Domanda della presente lettrice: ci sono delle buone ragioni perché questi giovani vadano volentieri a scuola o in qualsiasi altro luogo che non permetta loro di accedere anche a questi mezzi di espressione e di comunicazione? Ai professori (che temo in buona parte rispondano di sì) vorrei fare un esempio tratto dalla mia esperienza: la disponibilità di Internet consente di organizzare lezioni " collaborative”, nel senso che, fissato un argomento in anticipo, si può chiedere ad ogni studente di "preparare la lezione” sulla base di una rice ...[continua]

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