Non conoscevo molto Yolande quando, all’inizio della guerra, è venuta vicino a casa mia e mi ha fatto segno perché andassi a chiamare il proprietario della casa dove abitavo. Non so quello che si sono detti il proprietario e Yolande, tutto quello che ho capito è che Yolande non è stata accolta, se ne è dovuta andare e poi poco dopo è tornata alzando le braccia dicendomi: "Cosa posso fare?", lei mi supplicava. Non le ho fatto domande, ho pensato che si trattava di un essere umano e l’ho invitata a passare da sotto il tetto, è venuta a mettersi sotto il lavandino, nel posto dove conservavo il carbone. L’ho sistemata in qualche modo in questo buco, sotto il lavandino, e in un certo qual modo le ho fatto da guardia del corpo perché avevo una carta d’identità dove c’era scritto "Hutu" che mi avevano controllato e quindi come hutu non correvo rischi; ho fatto tutto il possibile per nasconderla facendo sempre finta che non ci fosse. Per fortuna Dio ci ha aiutate e abbiamo finito col poter lasciare il quartiere dove Yolande era in pericolo e dove mi ero io stessa messa in pericolo, siamo arrivate in un grande albergo di Kigali che si chiama "Hôtel des milles collines".
A dire il vero io non ne sapevo molto di politica; come ho già detto avevo una carta d’identità dove c’era scritto "Hutu", ma la mia carta era un po’ come un passaporto -ci sono tante cose in un passaporto che io non capisco- mi avevano controllato e questo mi bastava, avevano detto che andava bene. E’ a questo punto che i Caschi Blu ci hanno detto: "Dove volete andare ora, dalla parte del fronte patriottico o dalla parte dell’esercito ruandese"? E ho detto a Yolande: "Cosa facciamo?" Io non sapevo dove andare perché da ogni parte vedevo gente che combatteva. Comunque, c’è molta altra gente che come me era innocente, che non ha capito niente in questa storia e che è andata dalla parte dell’esercito ruandese che faceva il genocidio.
Io ho avuto la fortuna, con Yolande, di andare dalla parte dove non si faceva il genocidio. Vorrei invitarvi ad aiutarci a identificare le persone che erano innocenti, che non hanno capito niente e che si sono trovate dalla parte sbagliata. Non è facile oggi in Ruanda e di gente come me ce n’è parecchia, ma bisogna ancora identificarla e aiutarla. Ora che sono con voi ho l’impressione che la mia missione d’ora in avanti sia quella di insegnare l’amore ai ruandesi ma anche ai non ruandesi, d’insegnare alla gente ad ascoltare la propria coscienza perché la mia esperienza mi ha mostrato che i dirigenti politici, i dirigenti religiosi possono fare il male e indurre le persone a fare il male. Per quel che mi riguarda ho seguito la mia coscienza ed è questo che vorrei condividere coi ruandesi e con altri non ruandesi: imparare a seguire la propria coscienza e non fidarsi ad occhi chiusi dei dirigenti.
Noi ruandesi siamo stati veramente ingannati per molto tempo. Durante la guerra e il genocidio mi insegnavano che Yolande era tutsi e che io ero hutu, ma quando guardo Yolande la considero come la mia sorella maggiore, è questo che mi ha detto la mia coscienza e non che sono hutu e che lei è tutsi. Ho constatato per esperienza che il male è contagioso: la guerra e il genocidio sono cominciati in Ruanda, oggi il Congo è colpito, e domani, chi sarà? Forse l’Italia può essere colpita. Oggi in Algeria si uccide in nome della religione. Vorrei dirvi che è tempo che cerchiamo altre cose piuttosto che le etichette religiose o politiche, che ascoltiamo altre cose diverse da quelle proposte da certi dirigenti che ci spingono verso la distruzione. E’ tempo che ascoltiamo i consigli e le indicazioni della Bibbia e di Dio che ci dice: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Mentre sono qui davanti a voi non posso fare a meno di pensare al Ruanda e ai ruandesi che si devono ancora confrontare con problemi molto gravi: ci sono ragazze e donne che sono state vio ...[continua]
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