"Il fine ultimo della valutazione della scuola è naturalmente il miglioramento degli studenti”, afferma il titolo di uno dei capitoletti del recente (19 febbraio) Rapporto della Fondazione Agnelli sulla valutazione nella scuola italiana. "Radical: Fighting to Put the Students First”, dichiara il titolo di un discusso libro di Michelle Rhee (democratica, in aspra polemica con la più importante storica dell’istruzione negli Stati Uniti, Diane Ravitch, anch’essa democratica e attenta agli studenti) in difesa della valutazione esterna dei professori e dei test nelle scuole. è impossibile che le opposte pratiche sostenute dalle varie parti siano tutte nell’interesse degli studenti. è necessario che tutti -genitori, studenti, semplici cittadini- proviamo a distinguere, a vedere cosa davvero può servire, tra le molte proposte e pratiche in atto, a fare degli studenti italiani cittadini migliori e più competenti. Il punto fermo da cui partire mi sembra sia che la scuola italiana è in declino, in grave crisi in alcune sue parti e regioni, con eccezioni locali o settoriali; che è stata curata da troppi medici, ciascuno dei quali ha ignorato le cure del medico precedente; che non si possono massacrare così i bambini e i ragazzi, in particolare i figli degli immigrati e i poveri, i cui genitori non sono in grado di organizzargli la vita, e che hanno diritto anche loro di raggiungere i gradi più alti dell’istruzione se sono "capaci e meritevoli”, come dice la Costituzione, ma finiscono, più spesso degli altri, fuori, o in settori poco efficienti o truffaldini.

Il Rapporto è meno polemico, più dialogante del libro della Rhee e della proposta "Un sistema di misurazione degli apprendimenti per la valutazione delle scuole: finalità e aspetti metodologici” di Daniele Checchi, Andrea Ichino e Giorgio Vittadini, reperibile in rete. Tenta un quadro di ciò che si misura o si può misurare per capire cosa non funziona nella scuola italiana, in tutte le sue componenti: studenti e insegnanti, scuole (e dirigenti), sistema scolastico nel suo complesso. Elenca i modi della misura (esami attendibili, test, ispettori); traccia un assai sommario quadro della situazione in Europa e della storia dei test di merito in Italia, dei concetti usati ("Valore Aggiunto”, per esempio, per tener conto dei diversi punti di partenza), dei test realizzati ogni anno e nazionalmente (come l’Invalsi) o periodicamente e internazionalmente (come il Pisa). Nei confronti degli insegnanti è aperto o, per lo meno, diplomatico. Sostiene che senza la loro collaborazione, la loro condivisione, non si può fare nulla perché sono loro a insegnare; e solo loro possono evitare di studiare per i test o barare nei test come è clamorosamente avvenuto negli Stati Uniti -nelle scuole peggiori, naturalmente, che sono proprio quelle per migliorare le quali si fa il test. Solo loro possono imparare a usare il test, o l’ispezione, come un modo per aiutarsi a guardare il proprio lavoro dall’esterno, criticamente.

Le insegnanti
Il femminile è d’obbligo data la composizione reale della categoria. Il Rapporto comincia col sottolineare che non sempre è necessario valutare. Avere dei buoni insegnanti e un’idea di scuola è la premessa necessaria, forse sufficiente, per avere una buona scuola; e cita la Finlandia come esempio. Si può aggiungere che in questo momento, con un ritardo di 5 anni o più rispetto alle previsioni, per l’innalzamento dell’età di pensione, in particolare per le donne, stanno per uscire più o meno 300.000 insegnanti. Se, come si è letto su qualche giornale, nell’eterno fare e disfare, ci fosse un anticipo della pensione per talune categorie di insegnanti, i numeri crescerebbero. Ed è solo la prima rata perché dalla scuola italiana deve uscire in pochi anni forse un terzo delle insegnanti. Chi saranno le nuove insegnanti? Come saranno formate? Con quale criterio verranno assunte?
Basta con i diktat sindacali e con la burocrazia! Assunzione diretta e libera per le scuole eccellenti! Ma il Concorsone, la Sis, l’ultimo Concorso, sono stati organizzati da ministri e ministre nominati dal Presidente della Repubblica e confermati da Parlamenti legittimi, con maggioranze opposte ma tutti intenzionati a liberarsi della palude delle graduatorie, dei ricorsi, del vecchiume. E quali sono le scuole eccellenti? La cosa peggiore che si possa fare è pensare che un lungo degrado, cui hanno contribuito in tanti, che in parte dipende dalla demografia che ha reso scarsi gli allievi e abbondanti le insegnanti bloccando il reclutamento per decenni, in parte da mutamenti culturali che non si lasciano capire facilmente, si possa affrontare buttando fuori bordo ciò che non ci piace, senza parlare di programmi, percorsi, fini, apertura all’Europa e al mondo. Per guarire da malattie serie ci vuole tempo. Se si continua a cambiare terapia senza aspettare di sapere se quella in atto funziona o no si fanno solo danni.
Ha prevalso il principio, cui sono radicalmente avverso, che ognuno si presenta sul mercato tutte le mattine e vende o compra a seconda delle preferenze e dei prezzi. Fa l’imprenditore o il manovale; il professore o il cuoco a seconda dei prezzi di mercato; lavora se lo incentivi, altrimenti non fa nulla; usa i voucher per mandare i figli alla scuola di sua scelta tra le infinite disponibili, che conosce perfettamente. Il mondo non va così. Se andasse così, per restare al piccolo, questa rivista non esisterebbe. E non esisterebbero la democrazia e le leggi.
Nella realtà i genitori che credono all’importanza personale e (perché no?) economica dell’istruzione mandano i figli a scuola dove possono; alla scuola più vicina, a quella dove hanno studiato amici e parenti, a quella di cui hanno sentito parlar bene, a quella facile, a seconda dei casi. Se non c’è un sistema culturale vitale, una certificazione pubblica, una predisposizione ragionevole di percorsi; se non ci sono insegnanti veri, preparati e motivati, la fregatura è sempre dietro l’angolo.
Purtroppo un sistema assurdo, se dura abbastanza a lungo, produce conseguenze. La trattoria del paese dove vivo aveva un ottimo cuoco, veramente bravo. Di colpo si è licenziato. Perché? Lui è anche laureato in matematica; ha vinto un posto fisso nel paese dove vive, vicino al mio ma non vicinissimo; ha scelto la scuola. Guadagna di meno, naturalmente. Ma anche tornare a casa la notte tardi tutte le sere, dover spiegare ai due figli preadolescenti che papà è sempre occupato a Natale, a Pasqua, a Capodanno, tutte le volte che c’è vacanza, non è gradevole. E poi la scuola è per sempre, fino a nuovo ordine, la trattoria no. Sarà anche un ottimo professore come è stato un ottimo cuoco?

La valutazione
Credo che quello dei test come lo si pone il più delle volte sia un falso problema. Sono profondamente contrario al progetto Invalsi come descritto nell’intervento che ho citato perché è un sistema totale, che dovrebbe accompagnare ogni cittadino italiano durante tutta la formazione e dovrebbe determinare un sistema di premi e punizioni per le singole scuole, forse per il singolo insegnante (su questo si rimanda la decisione ai dirigenti scolastici). Cosa fa la scuola lo decide il dirigente imprenditore. L’Invalsi lo misura e lo paga secondo i risultati. In un sistema così studiare per il test e barare al test non è neppure una disfunzione. è l’esito ovvio del meccanismo.

Ma usare anche i test, se le domande sono sensate, non mi sembra presenti alcun pericolo. Personalmente trovo che i sociologi italiani usino troppo le survey e i questionari a risposta multipla, forse perché a quasi tutti i questionari che ho visto usare non saprei cosa rispondere. "Gli ebrei sono un gruppo chiuso o aperto?” Dipende! Ne conosco dell’uno e dell’altro tipo. E come gruppo? Bisogna osservarli e contare. E i mussulmani? Lo stesso! Bisogna usare i numeri per le cose numerabili; per le altre bisogna parlarsi. Ma che a un ragazzino si chieda di scegliere il grafico delle velocità giusto di un circuito automobilistico di cui viene fornito il tracciato, come in un Pisa di qualche anno fa, o si ponga qualche domanda di geometria su un disegno per cui si devono applicare due teoremi elementari anziché fargli ripetere i teoremi a memoria, come in un Invalsi recente, mi sembra il minimo indispensabile. E per l’italiano? Si possono fare domande a risposta multipla sulla comprensione di un testo? Per sapere se si conosce il significato delle parole, qualche volta desuete, della Costituzione o de "I sepolcri” e se si segue il filo del discorso, certamente sì. Se si vuole discutere della costituzionalità dell’attuale proposta di riforma della legge elettorale o dell’attualità del Foscolo nell’Italia contemporanea, certamente no. Se un’insegnante (sempre al femminile; non è un errore di stampa) pensa che i suoi allievi abbiano problemi con l’italiano fa bene a farli lei i test, senza aspettare il Pisa.

A questo indirizzo è possibile scaricare il rapporto della Fondazione Gianni Agnelli:
http://goo.gl/0tv84f