Irena Grudzinska-Gross, Gregory Sumner, Wojciech Karpinski, Ugo Berti, Pietro Adamo, Gino Bianco, Enzo Golino
Cosa rimane (esaurito)
Quaderni dell'altra tradizione (n. 3)
Ed. Una Città, 2006
80 pagine
Scritti in onore di Nicola Chiaromonte.
Irena Grudzinska-Gross, Gregory Sumner, Wojciech Karpinski, Ugo Berti, Pietro Adamo, Gino Bianco, Enzo Golino ricordano Nicola Chiaromonte.
C’era una volta a Roma un magico pentagono. Correvano gli anni ’50 e i primi ’60, e alcuni giovanotti d’ogni parte d’Italia esibivano in quel perimetro le prove, a volte già folgoranti e mature, di carriere che si sarebbero dipanate nei mass media, nei giardinetti dell’accademia, nelle lettere, nella politica, nell’industria, magari intrecciando i percorsi disinvoltamente, curiosi ed eclettici, attenti a non rinchiudersi entro steccati disciplinari. Ai vertici di quel pentagono c’erano “Il Mondo” di Mario Pannunzio in via della Colonna Antonina 52; “L’Espresso” di Arrigo Benedetti in via Po 12; un paio di caffè e la libreria Rossetti in via Veneto; altri caffè come Rosati e Canova in piazza del Popolo; “Tempo presente” in via Sistina 23, la rivista fondata e diretta (1956-1968) da Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone, austeri dioscuri di quella stagione. Nelle stanze in penombra di “Tempo presente”, dal parquet scricchiolante, si respirava un’aria cosmopolita, e quindi più attraente agli occhi di chi avvertiva il fascino di taluni scrittori. Passavano, visitors eccellenti, Mary McCarthy, Lionel Trilling, Dwight McDonald e altri che Chiaromonte aveva conosciuto a New York, al tempo in cui, esule antifascista, sbarcato nel Nuovo Mondo dopo le tappe di Parigi, Tolosa, Algeri, Casablanca, lavorava all’“Italia Libera” di Gaetano Salvemini e collaborava alle pubblicazioni della sinistra intellettuale, da “Atlantic Monthly” a “Politics”, da “The New Republic” a “Partisan Review”. E passavano anche Stephen Spender e Francine Camus, conosciuta ad Algeri, nel 1941, insieme al marito Albert, l’autore dello Straniero. Silone e Chiaromonte non brillavano per abitudini mondane. A tu per tu con gli altri si concedevano frugali arguzie, misurate ironie, e la McCarthy ha ricordato frivolezze, allegrie, divertimenti di Nicola durante il periodo newyorkese, nella casa vicino a Washington Square e nelle vacanze estive sulla spiaggia di Cape Cod. Al di là del carattere, la loro storia personale suscitava nei più giovani una distanza rispettosa e ammirata: il narratore dei “cafoni” di Fontamara per la sua drammatica vicenda politica nell’internazionalismo comunista, segnato per sempre dal lutto del “dio che è fallito”; l’intellettuale anarchico e libertario, diviso fra il pensiero e l’azione, per un cosmopolitismo non provinciale, per l’esperienza di combattente antifranchista nei cieli di Spagna con la squadriglia aerea di André Malraux, e già eletto a figura letteraria sotto le spoglie di Scali nel romanzo L’Espoir.
(dall’intervento di Enzo Golino)
Che cosa rimane: l’ospitalità di Nicola Chiaromonte
Introduzione di Franco Melandri
Le amicizie trasversali
di Irena Grudzinska-Gross
L’America e l’etica del “limite nell’età dell’estremismo”
di Gregory Sumner
Una conversazione che non è finita
di Wojciech Karpinski
Pubblicando Chiaromonte
di Ugo Berti
Nicola Chiaromonte e la tradizione libertaria
di Pietro Adamo
Attualità di Nicola Chiaromonte
di Gino Bianco
Chiaromonte, un chierico che non ha tradito
di Enzo Golino