L’art. 118 introduce nella Costituzione il principio di sussidiarietà. Che significato ha e come si è arrivati alla sua formulazione?
La formulazione esplicita del principio della cosiddetta sussidiarietà orizzontale è entrata a far parte della Costituzione con la revisione costituzionale operata nel 2001, e consiste nell’attribuire ai poteri pubblici, Stato, Regione, Province, Città Metropolitane e Comuni, un compito di aiuto e di sostegno alle autonome iniziative dei cittadini rivolte all’interesse generale.
E’ un principio abbastanza dirompente perché riconosce che l’interesse generale non è solo pertinenza e compito dei poteri pubblici, ma può essere realizzato anche dai cittadini, i quali, dunque, non si occupano solo del loro particolare -com’è nella concezione tradizionale del liberismo- ma sono soggetti che possono propugnare beni comuni e interesse generale. Sotto questo profilo, i cittadini si collocano sullo stesso piano dei poteri pubblici, i quali devono tenerne conto e, di conseguenza, adeguare la propria azione alla loro autonoma iniziativa. La Costituzione infatti afferma che i poteri pubblici devono “favorire”, cioè appoggiare queste iniziative, tramite politiche attive di accoglienza, completamento e accompagnamento. Questo non significa, ovviamente, sostegno della politica pubblica a tutte le iniziative delle associazioni o dei singoli cittadini (per loro c’è già l’art. 18 della Costituzione, che prevede la libertà di associazione) ma solo a quelle che si inquadrano all’interno dell’interesse generale.
Per noi questo è il punto di arrivo di una battaglia culturale e politica molto intensa. La nostra Costituzione del ’48 sostanzialmente era già orientata in questa direzione, infatti gli articoli 2 e 3 contenevano una forte apertura alle associazioni e alle cosiddette formazioni sociali, solo che nella Costituente, il tentativo, condotto soprattutto dai cattolici -in particolare Dossetti e Moro- di introdurre esplicitamente la parola “sussidiarietà dello Stato” non passò. Ma nella visione dei costituenti -e mi riferisco a tutti: cattolici, socialisti, comunisti, liberali- lo Stato doveva comunque rivestire un ruolo importante per lo sviluppo economico, tramite l’intervento pubblico a sostegno dell’iniziativa economica privata.
Questa concezione, che quindi appartiene ancora alla lontana stagione della Costituente, a partire dagli anni ’80 è stata duramente criticata, perché ritenuta dominata da ideologie interventiste. Le correnti cosiddette neoliberiste, di cui fanno parte anche esponenti di matrice cattolica (che hanno quindi criticato la visione politica degli esponenti cattolici della Costituente) hanno finito così per prevalere, anche sull’onda di una trasformazione delle relazioni economiche mondiali: la vittoria del mercato, il principio di libera iniziativa e la riduzione dei poteri di intervento dello Stato.
Quando, nel ’96-’97, si aprì in Italia il dibattito per la revisione della Costituzione, in seguito al quale fu poi costituita la Bicamerale, questi cattolici, insieme con esponenti del neoliberismo, sostennero con forza la necessità di introdurre in Costituzione la sussidiarietà, rifacendosi però ad una teoria dello Stato in cui rimaneva al pubblico un ruolo solamente residuale. Doveva cioè occuparsi soltanto di beni e servizi minimi, che non risultassero accessibili altrimenti, lasciando all’iniziativa privata tutto ciò che essa poteva procurarsi da sé sul mercato, riconoscendole perciò un ruolo dominante.
La discussione, in quegli anni, verteva quindi su questo enorme spazio dato al privato profit, al privato commerciale e imprenditore. Il terzo settore invece sosteneva una concezione diversa, all’interno della quale l’aumento dello spazio di iniziativa sociale, quindi della sussidiarietà orizzontale (nel senso in cui ne stiamo parlando), non comportava di per sé una riduzione della responsabilità e dell’iniziativa pubblica nei confronti dei diritti dei cittadini.
Lo scontro nella Bicamerale fu molto aspro, tanto che una prima formulazione, che risentiva di queste spinte neoliberiste, fu bocciata e trasformata in un’altra, però meno significativa, come dire, né carne né pesce. Poi, come sappiamo, nella primavera del ’98, la Bicamerale cadde e la questione apparentemente restò bloccata. In ...[continua]
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