L’intervista prende lo spunto dal cosiddetto Jo’burg-Memo, che venne presentato dalla Fondazione Heinrich Böll al Summit dell’Onu sullo sviluppo sostenibile a Johannesburg nell’agosto-settembre del 2002. Il documento, intitolato “Ecologia, il nuovo colore della giustizia” (il testo si trova anche in italiano in: www.joburgmemo.org ), era il risultato del lavoro di diciassette studiosi del Nord e del Sud del mondo, da lui coordinati, e presentava un’analisi critica dei problemi della Terra e proposte concrete di politiche nei campi ambientale, economico, istituzionale e dei diritti umani per superare la povertà e la crisi ambientale. Fu ritenuto un punto di riferimento per i partecipanti non governativi al summit.
A cura di W. Sachs ricordiamo: Dizionario dello sviluppo, Emi 2004 (nuova ed.); Ambiente e giustizia sociale. I limiti della globalizzazione. Ed. Riuniti, 2002. In collaborazione con Loske e Linz, Futuro sostenibile. Riconversione ecologica, Nord-Sud, nuovi stili di vita, Emi, 1997.
Dal Summit di Johannesburg sono passati solo due anni. Tu allora eri piuttosto scettico sulle sue possibilità di fare un passo avanti rispetto alle innovazioni e anche alle delusioni di Rio. Che cosa è successo?
Qualcosa di impressionante: Johannesburg è sparito dalla memoria, come se non avesse avuto luogo. E non solo per quanto riguarda la memoria dell’opinione pubblica, ma anche per i governi, che erano gli attori principali del summit. Di Johannesburg non si parla più. Sembra essere stato un incidente di percorso. Secondo me Johannesburg è stato fatto solo perché c’erano i dieci anni di Rio da celebrare.
Però Johannesburg per molti è stato un avvenimento importante. Molte donne, soprattutto africane, erano andate là portando la loro speranza e anche alcuni governi, a partire da quello del Sudafrica, si erano prodigati molto per ottenere un impegno internazionale a favore, se non dell’ambiente, dello sviluppo.
Si deve distinguere fra l’evento governativo, che è un business di diplomazie, e la grande festa, occasione d’incontro per la società civile, dove in tanti possono venire con speranza, rivedersi e conoscersi fra di loro, e da dove può scaturire un rafforzamento di una certa cultura globale. In quest’ultimo senso è stato un successo. Ma questo non era il vero obiettivo di Johannesburg. Il vero obiettivo era quello ufficiale. E anche da questo punto di vista il bilancio di Johannesburg è stato positivo, non tanto sul piano ambientale, quanto su quello del multilateralismo. A Johannesburg -lo ricordo, eravamo prima della guerra in Iraq, Bush era in carica da un anno- gli Usa hanno cercato di smantellare l’edificio di accordi internazionali sull’ambiente costruito in dieci anni, con trecento delegati hanno cercato deliberatamente di sradicare alcuni dei principi di Rio del 1992, ma in questo hanno fallito.
Prima che si diffondesse l’opposizione alla guerra in Iraq, lì abbiamo avuto la prima reazione degli stati contro il potere mondiale. Così gli Usa non sono riusciti a fare annullare i risultati di quei dieci anni. Questo è stato l’esito interessante, che pochi hanno colto.
Nel Jo’burg-Memo, una delle proposte centrali, fatta propria dalla delegazione europea, era quella di un cambiamento radicale a favore delle energie rinnovabili. La proposta è stata respinta in sede ufficiale, ma alla fine del summit è stata presentata dall’Ue, che ha chiesto ai paesi di aderirvi in modo informale. Molti paesi hanno detto sì. Era una ribellione alla sconfitta? Quale seguito vi è stato? Ad esempio, la Germania, paese a governo rosso-verde, che cosa ha fatto concretamente per portare avanti ...[continua]
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