Ogni mattina passo davanti alla mia vecchia facoltà, e mi si stringe il cuore a pensare a quelle grandi aule ora praticamente vuote. Penso a quello che ci stanno facendo e provo una grande rabbia; ma poi mi dico di essere paziente e di continuare a sperare che la nostra resistenza nonviolenta ottenga qualche risultato. La facoltà era vicina a casa mia, ci arrivavo a piedi in un quarto d’ora; ora, invece, per andare a insegnare devo camminare più di un’ora e mezzo, perché in molte parti della città non ci sono autobus. Avevo cominciato a insegnare storia antica e archeologia nel 1979, dopo aver studiato a Belgrado. All’università le lezioni si tenevano in due lingue, in albanese e in serbo (che allora si chiamava serbo-croato) per i serbi e i montenegrini. A tutti i livelli di insegnamento c’erano lezioni in albanese e serbo, e anche in turco. Tutte le lezioni si facevano negli stessi edifici. Io insegnavo in tutt’e due le lingue. Da quando non ci sono più lezioni in albanese hanno tolto archeologia dalle materie di insegnamento perché non avevano un professore serbo. Ora l’archeologia non viene più insegnata. Avevo anche una collezione archeologica, ma mi è proibito anche vederla. Non la vedo da sei anni, molti pezzi li avevo comprati con i miei soldi, ma né io né i miei studenti possiamo studiarla.
Già nel 1989 avevano cominciato ad attaccare il sistema educativo albanese non pagando i salari degli insegnanti delle scuole elementari prima e delle medie poi. All’università tutti i presidi e vice-presidi delle facoltà erano serbi e cominciarono con l’imporci di arrivare in facoltà alle 8 di mattina e andarcene alle 2 del pomeriggio, un modo come un altro per tenerci sotto pressione. Poi cominciarono a cercare dei modi per espellerci. L’insegnante di inglese lo mandarono via con la scusa che arrivava dopo le 8. Chiesero a me di fare gli esami di inglese, ma io risposi che potevo fare solo quelli di archeologia e storia antica, non quelli di inglese, e così mi arrivò la lettera di licenziamento. A una mia collega, insegnante di storia, venne chiesto di fare gli esami di russo. Lei rispose con l’unica parola di russo che conosceva: Niet. Licenziarono anche lei. E così, con scuse banali, tutti gli insegnanti albanesi vennero licenziati. Poi, il primo settembre 1991 tutte le scuole albanesi, di ogni ordine e grado, vennero chiuse. Era il primo giorno di scuola del nuovo anno scolastico, e persino le scuole elementari vennero circondate dai carri armati. Immagina bambini di sette-otto anni che si trovano la scuola presidiata da esercito e polizia il primo giorno! Anche gli asili nido vennero chiusi. Ci furono molte dimostrazioni pacifiche di genitori e studenti, molti ragazzi vennero uccisi dall’esercito serbo e divenne troppo pericoloso per i nostri studenti fare dimostrazioni. Intanto cambiarono i nomi delle scuole: i nomi albanesi vennero sostituiti con nomi serbi. Il mio quartiere si chiama Ulpiana, dal nome di una splendida città di epoca romana, ma venne cambiato con il nome di una principessa serba.
Il Forum delle donne della Lega democratica del Kosovo, che raggruppa circa 200 mila donne, cominciò subito ad organizzare l’insegnamento nelle case per i bimbi delle elementari. Per due ore ogni pomeriggio non c’era neanche un bambino per strada. Nel gennaio del ’92 cominciammo ad organizzare le lezioni nelle case private. Oggi ci sono più di mille case destinate all’educazione. Alcune famiglie albanesi hanno lasciato le loro case, i loro appartamenti per lasciarci fare lezione e sono andati a stare con dei parenti, altri hanno costruito degli edifici nuovi e li hanno donati come loro contributo. Così, a volte facciamo lezione in case non finite. Fino all’anno scorso non avevamo banchi e cattedre, solo tavolacci. Ora abbiamo costruito dei banchi. Ogni anno ricominciamo sperando che l’anno prossimo torneremo nelle nostre scuole. Abbiamo classi, programmi, orari: tutto come prima, solo non nello stesso posto. La facoltà di filosofia, ad esempio, è in quat ...[continua]
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