Patrizia Guandalini, oggi in pensione, ha insegnato nella scuola dell’infanzia “Vignoni” di Casalecchio. Vive a Bologna.

Hai sempre insegnato nella scuola materna. Puoi raccontare?
Sono stata insegnante per quarantadue anni, trentacinque dei quali sempre nella stessa scuola d’infanzia. Una volta si chiamava scuola materna, quella che va dai tre ai sei anni, cioè dopo il nido, che va da zero ai tre anni. Ho fatto in tempo a vivere il cambio della denominazione.
Mi sembrava bello quel “materna”!
Diciamo però che era più attinente a una concezione superata della scuola, dove dalla persona che accoglieva i bambini ci si aspettava un atteggiamento più da mamma che da insegnante. Si riteneva la scuola, come si diceva, un asilo, quindi un posto di accoglienza. “Asilo” del resto è un nome che ha resistito per tanto tempo perché è bello, è un posto dove tu accogli e accudisci il meglio possibile. Però poi si è capito che bisognava andare oltre all’accudimento per dare anche una sorta di educazione, di insegnamento che andasse al di là dei rudimenti, insomma. Negli anni Ottanta, sulla spinta delle esperienze di altri paesi e soprattutto di quella di Reggio Emilia e degli orientamenti della scuola pedagogica bolognese, si è capito che quella dell’infanzia poteva essere una scuola a tutti gli effetti. Molte scuole allora erano comunali. Poi lo stato arriva sempre dopo, ovviamente, il riconoscimento dell’“asilo” come scuola facente parte del sistema formativo, è abbastanza recente, mi sembra sia avvenuto nel 2012-14.
Quindi un vero ciclo, prima delle elementari...
Che adesso si chiamano primarie… Io la chiamo sempre scuola elementare, però si chiama primaria.
La storia dei nomi è interessante…
Quindi la “materna” è diventata scuola a tutti gli effetti. È un po’ il discorso che si sta facendo con il nido, che non è obbligatorio, come del resto la scuola dell’infanzia. Ogni tanto salta fuori il fatto di renderne obbligatorio l’ultimo anno, perché tutti i bambini possano diventare un pochino più avvezzi, come diceva Collodi, però ovviamente questo comporterebbe costi elevatissimi per costruire più scuole, per avere più insegnanti..
Quindi nella scuola dell’infanzia si entra a tre anni...
Sì, può succedere che chi compie gli anni entro un certo periodo può eventualmente fare anche solo due anni di nido e fare la cosiddetta “primina”, ma noi lo sconsigliavamo sempre; si perde un anno di giochi e, attenzione, non è una questione di competenza, magari il bambino graficamente può essere in grado di scrivere delle parole, però bisogna tener conto anche della sua maturità emotiva e per questo un anno vuol dire tanto. Secondo noi è meglio che vada alla scuola elementare, magari con sei anni già compiuti, anche sei anni e mezzo, piuttosto che prima, perché il bambino può non essere preparato emotivamente ad affrontare un certo tipo di ambiente, fa fatica.
La primaria è molto importante?
Sì, perché lì si gettano le basi dell’apprendimento della lettura, della scrittura, e anche dell’ingresso in un tipo di comunità che ti dà delle regole ancor più, come devo dire, stringenti, in un qualche modo, insomma…
La scuola primaria ti avvia, ti dà un metodo di studio, di apprendimento, che è importante per poter essere dopo autonomo e poter studiare da solo. Si rischia di portarsi dietro degli errori di ortografia, di sintassi, insomma, di non saper scrivere bene, di non sapersi esprimere bene. Anche per noi le competenze quindi, come scuola dell’infanzia, sono importantissime, però badiamo anche molto alla sensibilità, alla crescita emotiva.
Ma cosa si intende per competenze a quell’età?
Beh, a partire dalle più pratiche e però molto importanti: saper andare in bagno da soli, sapere controllare gli sfinteri, saper bere, saper mangiare da soli, stare seduti; poi saper proprio fare delle operazioni come usare le forbici, tenere una matita in mano, un pennello, saperlo anche governare, saperlo utilizzare a seconda della propria creatività, insomma tutte operazioni indubbiamente legate anche alla crescita del bambino. Così come saper fare delle macrostrutture, sapere quindi anche utilizzare il pensiero, facendo anche delle semplici operazioni di causa-effetto: se io faccio questo, succede questo. Poi cominciare a imparare anche a essere autonomi, anche usare un materiale per esempio, cioè so colorare, so dipingere, so arrampicarmi su un albero, so correre, so camminare bene, per dire, così il bambino comincia ad acquis ...[continua]

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