Gianpaolo Romanato insegna Storia contemporanea e Storia della Chiesa moderna e contemporanea presso l’Università di Padova. È autore, tra l’altro, delle biografie di Pio X (Rusconi, 1992) e di Daniele Comboni (Corbaccio, 2003). L’intervista è stata realizzata nel giugno 2005.

A suo giudizio è lecito individuare nel magistero di Wojtyla una duplicità tra atteggiamento dialogante in “politica estera”, cioè verso le realtà esterne alla Chiesa, e un’azione restauratrice condotta all’interno?
Premesso che si tratta di un pontificato lunghissimo, di un magistero estremamente ampio, che è intervenuto su un’infinità di temi, premesso quindi che è difficile e forse arbitrario ridurre un pontificato di tale ampiezza e complessità dentro categorie interpretative rigide, credo che questa valutazione sia sostanzialmente corretta e condivisibile. C’è stata una politica molto dialogante e innovativa, anche sul piano dell’immagine, dei gesti, del modo di porgersi, nei rapporti verso l’esterno. Mentre è ravvisabile una linea più tradizionale -io non userei la parola “restauratrice”- per quanto riguarda i rapporti interni alla Chiesa e i problemi di conduzione ecclesiastica. Forse è una contraddizione, questa, nel pontificato di Giovanni Paolo II, contraddizione che spetterà alla storiografia interpretare ed eventualmente ridurre all’interno di un disegno complessivamente unitario.
Il magistero di Wojtyla dovrà essere indagato con maggiore attenzione e con maggiore distacco di quanto non si stia facendo ora. Probabilmente si individueranno anche gli aspetti di debolezza del suo pontificato - e io credo ce ne siano stati. Però resta il fatto che si è trattato di un pontificato di straordinario spessore e l’omaggio corale che il mondo ha tributato al papa in occasione della morte non è stato semplicemente un omaggio mediatico o condizionato dai mezzi mediatici, è stato un omaggio sincero, verso l’ultimo grande del ventesimo secolo. La visita alla salma da parte del presidente e di due ex-presidenti degli Stati Uniti, cioè il potere vero nel mondo d’oggi, mi sembra abbia esemplificato, anche visivamente, quanto Wojtyla ha contributo a rialzare il prestigio della Chiesa nel mondo contemporaneo.
Quali potrebbero essere i motivi della contraddizione di cui parlavamo all’inizio?
Forse uno dei motivi è l’origine polacca di Giovanni Paolo II. Quello polacco è un cattolicesimo complessivamente tradizionale, nel quale il rinnovamento del Concilio Vaticano II è arrivato, come d’altronde in tutti i paesi sottoposti al regime comunista, molto più lentamente e tardivamente. E’ un cattolicesimo che aveva altri problemi rispetto a quelli prevalenti nell’Europa occidentale. Aveva problemi identitari e di sopravvivenza, che ruotavano intorno al mantenimento di se stesso in presenza di una pressione politica e statale estremamente forte. Wojtyla si è formato in quell’ambiente. Non dimentichiamo che diventa papa nel 1978, quindi tutta la sua formazione, a partire dal 1945 (era nato nel 1920), avviene all’interno di un regime comunista e dentro una cattolicità che doveva sopravvivere in ambiente ostile. Come dire: maiora premebant, rispetto alle esigenze di cambiamento e rinnovamento, che invece in quegli anni fiorivano nel mondo occidentale. Lì si è formato Karol Wojtyla, non mi stupisce quindi che il suo cattolicesimo fosse tutto sommato tradizionale, che la sua visione della Chiesa fosse una visione tradizionale e di impostazione prevalentemente disciplinare. La disciplina, la compattezza interna della Chiesa, era lo strumento primo per sopravvivere in regime comunista. Non mi stupisce neppure che anche la sua spiritualità fosse poco innovativa: preghiere, rosari, devozione mariana esibita in ogni modo. Era la spiritualità prevalente nella Chiesa polacca, ma era anche la spiritualità congeniale a una Chiesa che doveva sopravvivere in un regime di oppressione. E credo che sempre da questa matrice polacca derivi la grande attenzione per i rapporti esterni della Chiesa. Una cattolicità che è vissuta in quelle condizioni si è posta probabilmente più che non la cattolicità occidentale il problema del dialogo con l’esterno e del rapporto con il potere pubblico e con la cultura esterna alla Chiesa. La contraddizione -ammesso che ci sia- credo che sia figlia dell’origine polacca di Giovanni Paolo II.
Modernità, antimodernità e postmodernità in Giovanni Paolo II convivono, ma anche si giustappongono. Mi ha sempre sorpreso in quest’uo ...[continua]

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