Raccontiamo un po’ la storia di “Cittadinanzattiva”?
Questo “movimento di cittadini” prende il nome Cittadinanzattiva nel 2000, durante il congresso di fondazione. Partivamo comunque da un movimento già esistente, il Movimento Federativo Democratico, nato nel lontano 1978 e i cui promotori venivano da un’esperienza di cattolicesimo di sinistra. Ne facevano parte, tra gli altri, Giovanni Moro, all’epoca molto giovane, Teresa Petrangolini, che attualmente è il Segretario Generale di Cittadinanzattiva, e Giancarlo Quaranta, sociologo e giurista, che all’interno del movimento ha rappresentato l’elemento più interessante di elaborazione teorica. Il Movimento Federativo Democratico già allora anticipava idee e istanze che in Italia sono maturate più tardi, da un lato le politiche sociali, in particolare la sanità e la difesa del cittadino malato, e dall’altro l’ipotesi di una struttura federativa tra le varie realtà territoriali italiane.
La sua prima proposta furono i tribunali del malato, piccoli centri di iniziativa civica che avevano l’obiettivo di trasformare culturalmente il rapporto tra i cittadini e gli operatori della salute. In casi estremi sostenevano anche azioni tradizionali, tipo cause per risarcimento danni, ma la loro funzione principale voleva essere più culturale che riparatoria: attraverso l’iniziativa di gruppi civici e le segnalazione di cattivo funzionamento, grazie a sensori sparsi su tutto il territorio, si voleva far agire un punto di vista e uno sguardo esterni alle istituzioni sanitarie, cercando di promuovere soluzioni innovative.
I Tdm, all’inizio, crearono una tensione e una conflittualità estreme: i medici rifiutavano di sentirsi persino sfiorati dalle critiche. Peraltro le prime azioni furono molto provocatorie, di rottura: nei reparti degli ospedali venivano appesi dei tazebao con la denuncia delle condizioni di degrado e incuria. Accanto, però, c’era sempre anche la ricerca e l’elaborazione di indicatori e misuratori, l’individuazione, ad esempio, dei cosiddetti “eventi sentinella”, che segnalano quelle situazioni a rischio che possono esplodere in crisi improvvise.
Col tempo il movimento ha prodotto una cultura che poi è diventata patrimonio comune, tant’è che lo stesso Ministero della Sanità ad un certo punto gli si è rivolto per commissionargli un rapporto sullo stato delle strutture sanitarie. Fu un fatto importante: per la prima volta questa competenza veniva sottratta a professionisti retribuiti in nome e per conto del Ministero per essere affidata a un’organizzazione di cittadini. Peccato che il ministro che aveva commissionato la ricerca fosse De Lorenzo, il che creò subito un alone di sospetto e discredito nei confronti del movimento. I Tribunali, comunque, fecero il loro rapporto in tutta tranquillità, con tutte le denunce del caso e quando scoppiò lo scandalo si costituirono parte civile contro De Lorenzo, tanto per chiarire che agivano in totale autonomia e non avevano nessun debito di riconoscenza da pagare. Questo per raccontare un po’ la storia calda, viva, del movimento.
I Tdm erano formati da piccoli gruppi sparsi a rete su tutto il territorio…
Sì, erano gruppi formati da cinque, sei, al massimo sette membri, tutte persone di buona volontà che riuscirono a conquistarsi l’agibilità in cinquecento strutture sanitarie, in altrettante città. Agibilità che significava -e significa- entrare, osservare, affiancare gli operatori, contestare le condizioni igieniche, il non rispetto delle prassi e dei protocolli.
Ora i Tdm sono circa trecento e nella sanità pubblica sono una realtà diffusa e ormai consueta; diversa invece è la situazione nel privato: tranne qualche raro caso, a fronte anche di condizioni insoddisfacenti, i rapporti sono quasi inesistenti oppure esclusivamente conflittuali e di denuncia.
Col tempo, poi, sono nate campagne specifiche, ad esempio contro le liste d’attesa o i tassi di errore. Ancora quattro anni fa, ad un convegno nazionale, discussi con un medico che si era vantato del fatto che la sua struttura avesse raggiunto il 98 % di interventi riusciti, con solo un margine del 2% di errore. E non riusciva a capire la nostra critica. Io l’unico esempio che riuscii a portargli fu questo: se una compagnia aerea avesse il 2% di decolli o atterraggi sb ...[continua]
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