Paola Meardi, architetto, ha svolto le sue attività negli insediamenti informali a Nairobi, e nei progetti di ricostruzione e reinserimento delle minoranze etniche nei Balcani. Lavora con ABCittà nell’ambito della progettazione partecipata, dell’housing sociale. E’ autrice del libro Gli stranieri per casa. Storia di un progetto di integrazione, ed. Terre Di Mezzo 2005.

La vostra associazione, insieme ad altre realtà, si è occupata di un’interessante esperienza di progettazione urbana rivolta a cittadini stranieri. Puoi raccontarci di cosa si tratta?
Innanzitutto bisogna partire dal contesto. Stadera è uno storico quartiere popolare di Milano. Il nome deriva probabilmente dalla pesa pubblica della carne, la stadera appunto. Si tratta di un quartiere di edilizia popolare, quasi periferico, che fu costruito sul finire degli anni Venti. Di per sé è molto bello: le case non sono troppo alte e la struttura a corte interna facilita i rapporti di vicinato. Una volta era un buon quartiere popolare. Il degrado che da circa 20 anni affligge questa zona tuttavia si è ulteriormente aggravato perché gli interventi, anche solo di ristrutturazione del patrimonio dell’area, non sono mai partiti o hanno subito molti ritardi. Da diversi anni si attendeva l’avvio di un piano di recupero, e vi erano tantissimi altri interventi all’insegna di una sorta di “accanimento terapeutico” sul quartiere. Quando siamo arrivati, abbiamo così trovato una situazione di sfiducia nei confronti delle istituzioni, proprio per queste aspettative continuamente disattese.
Inizialmente ci siamo proposti di collaborare con la cooperativa Dar-casa, che ricerca alloggi dignitosi da affittare a basso costo; in particolare, ristruttura alloggi che poi assegna ai propri soci. Successivamente si è aggiunta un’altra cooperativa, La famiglia, legata alle Acli e alla Cisl. Gestire affitti a canone agevolato rappresenta una risorsa molto importante per gli immigrati e per le famiglie che non riescono a trovare sul mercato un’offerta abitativa economicamente sostenibile. Dar-casa si occupa anche di accompagnare all’alloggio le persone, soprattutto se straniere. Queste persone vengono aiutate a fare gli allacciamenti di luce e gas, nell’iter burocratico, oppure a iscrivere i figli a scuola. Certe cose vanno spiegate, non si può dare niente per scontato.
Il nostro gruppo, invece, si occupa di “progettazione partecipata” a partire da competenze molto diverse tra loro e con ambiti di intervento che riguardano l’ambiente, lo sviluppo sostenibile e, in particolar modo, la qualificazione urbana, ambientale e sociale. Abbiamo conosciuto il quartiere grazie all’avvio del Progetto 4 Corti, un programma di recupero urbano che prevedeva lo scorporo dall’edilizia pubblica di 4 piccoli cortili, con i relativi alloggi, che venivano assegnati ad edilizia convenzionata. Questi appartamenti, che la cooperativa ristrutturava in regime di comodato d’uso, venivano quindi assegnati a 180 famiglie. A noi di ABCittà interessa molto questo discorso dell’accessibilità all’alloggio degli stranieri. A Milano i costi abitativi sono diventati proibitivi e a questo bisogna aggiungere che non sempre, o quasi mai, l’accesso alla casa per le famiglie immigrate è privo di problemi, se non addirittura di reazioni di rigetto, nei contesti urbani che le accolgono; ci sono tensioni, incomprensioni. La domanda abitativa dei cittadini stranieri mette spesso in evidenza la debolezza del tessuto urbano e residenziale di alcuni quartieri, che può tradursi in un degrado della coesione sociale e in una conflittualità diffusa. Purtroppo in genere ci si limita alla gestione dell’emergenza con interventi brevi, isolati e settoriali, mentre i problemi, in questi casi, sono strettamente collegati e riguardano discipline differenti. Ci hanno fatto notare che generalmente chi si occupa di stranieri non si occupa di alloggio, e viceversa…
Un riferimento costante del vostro lavoro è stato il “Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica” di Alex Langer. Un testo molto importante che cercava delle risposte alle tensioni drammatiche create dai conflitti “etnici”.
Alla difficoltà di trovare alloggi economici spesso si aggiunge l’esistenza di un conflitto più o meno latente tra vecchi e nuovi residenti che può diventare rischioso. In questi casi il pericolo è appunto che i nuovi abitanti vengano rifiutati.
Del resto, nel nostro caso i residenti avrebbero visto arrivare 180 famiglie, per la ...[continua]

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