Hannah Lasman è docente all’Università di Gerusalemme e ha costruito un progetto di codocenza con l’Università araba di Al Quds; si tratta di una sperimentazione didattica per far incontrare e “scontrare”, attraverso il dialogo, studenti palestinesi e studenti israeliani. E’ inoltre impegnata per la creazione e l’approvazione da parte del governo israeliano di un servizio civile alternativo al servizio militare.

In Israele quasi tutte le famiglie sono coinvolte nel dramma della Shoah. Per un verso o per l’altro, direttamente o indirettamente ciascuno annovera uno o più parenti scomparsi nell’Olocausto...
In Israele purtroppo tutte le famiglie di origine europea hanno perso dei familiari nella Shoah, chi direttamente e chi indirettamente. Ciò significa che il paese, sia a livello individuale che collettivo ha, volente o nolente, un legame stretto, tragico con la Shoah. Che siano i cittadini, i parenti della prima generazione, della seconda o della terza, tutti sono coinvolti e ognuno, a modo suo, subisce o ha subito i suoi traumi.
Come si rappresenta a livello collettivo questo legame con la Shoah? C’è strumentalizzazione politica?
Poiché si tratta di un fatto reale e concreto, ovviamente la Shoah è onnipresente, ma a seconda delle fasi politiche che Israele attraversa, essa può essere più o meno strumentalizzata. Per esempio, nei giorni in cui avveniva il ritiro dei coloni dalla striscia di Gaza, in televisione sono apparse alcune immagini dei manifestanti contrari all’evacuazione, in cui si cercava di evocare simbolicamente la deportazione degli ebrei durante l’Olocausto. In particolare, alcune bambine con la stella di David color arancione -che è il colore del movimento che si oppone all’evacuazione dei coloni dai territori occupati- ricordavano la famosa foto delle bimbe mentre venivano deportate dal ghetto di Varsavia. E’ ovvio che questa scena è stata costruita artificiosamente da un adulto affinché facesse da contrasto con la presenza dei soldati israeliani, incaricati di portare a termine l’operazione di evacuazione. Il significato simbolico del gesto è evidente: se nel 1942 erano i soldati nazisti che deportavano gli ebrei, oggi, nel 2005 sono gli stessi soldati del popolo israeliano che “deportano” il proprio popolo. Anche i termini e i vocaboli che vengono utilizzati in ebraico, in questo delicato frangente, evocano o hanno uno stretto legame con la Shoah. Cosa significa evacuazione? Significa deportazione. E tutti sappiamo cosa vuol dire deportazione. E, ovviamente, questa parola colpisce ogni israeliano nel proprio intimo, perché la Shoah è una storia troppo presente nelle nostre menti. E’ chiaro che si tratta di un’opera di strumentalizzazione per avere un impatto sulla popolazione. In Israele, purtroppo, si paragonano troppo spesso diversi eventi alla Shoah, con i rischi e i risultati di svalutare quella che è stata la Shoah da un lato, e dall’altra di manipolare l’opinione pubblica. A livello politico, tutti i partiti, a modo loro, strumentalizzano la Shoah; la sinistra come la destra. Altrettanto fanno i palestinesi, nel momento in cui ci accusano di agire come i nazisti.
Il museo di Yad Vashem organizza numerosi corsi e conferenze per giovani e adulti sulla storia della Shoah. Tra questi ho visto anche tanti poliziotti e militari.
E’ estremamente positivo che i giovani di leva frequentino i corsi sulla storia della Shoah, perché se da un lato si vuol far uscire la comunità israeliana da questo sentimento di essere vittime della storia, alla base della costruzione dello stato di Israele, dall’altro è istruttivo per un soldato, riguardo alla propria formazione morale, rispetto agli eccessi violenti in cui potrebbe cadere.
Ogni giovane israeliano, per sovvertire l’immagine vittimistica del popolo ebraico, accetta volentieri di svolgere questo lungo periodo di leva?
La maggioranza dei giovani sì. Tuttavia ogni anno aumentano le diserzioni o le richieste di coloro che vorrebbero svolgere un servizio alternativo civile. Io sono stata incaricata di sviluppare un progetto di servizio civile di pace, alternativo al servizio militare. In realtà esiste già la possibilità di svolgere una sorta di servizio civile per quei giovani o quelle giovani molto religiosi che si rifiutano di svolgere il servizio militare. Questa possibilità costituisce la breccia per introdurre anche quei giovani che evitano il servizio militare facendosi riformare per motivi di salute. Poiché l’esercito is ...[continua]

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