Dorina Palmieri è libera professionista e vive a Bologna.

La nonna Alfonsina è vissuta a lungo. E’ morta nel gennaio 1986, aveva ottantanove anni, io ne avevo quarantacinque. Era già diventata bisnonna. Sua madre, la mia bisnonna, era diventata trisavola. Dalla bisnonna Marietta alla nonna Alfonsina c’erano circa vent’anni, dalla nonna Alfonsina alla zia Desdemona circa vent’anni, dalla zia Desdemona a mia cugina Tamara circa vent’anni, da mia cugina Tamara a suo figlio Roberto anche meno... Era tutto cadenzato molto velocemente tra la madre e la primogenita, per cui è successo che quando è nata l’ultima figlia della nonna, nasceva la prima figlia della zia Desdemona. Coetanee zia e nipote. Ho delle mie seconde cugine che sono molto più giovani di me, perché sono le figlie della zia Gemma, che era la sorella minore della mia nonna.
Alla mia bisnonna, la “nonna” Marietta, il Comune di Castelfranco diede la medaglia d’oro per il maggior numero di figli impegnati nella Resistenza. Un’onorificenza puramente simbolica, ovviamente, ma siccome era una delle famiglie che avevano scritto la storia dell’antifascismo della zona, l’onorificenza andò a lei che, si può dire, era la capostipite.
La nonna Marietta è vissuta fino a ottantanove anni, io ne avevo quasi quindici. Andavamo da Bologna a Castelfranco quasi tutte le domeniche con il treno che faceva tutte le fermate intermedie: Borgo Panigale, Anzola Emilia, Ponte Samoggia, Castelfranco. A Castelfranco ci ospitava lei, e per noi bambini era una grande meraviglia il suo annusare il tabacco, sì “tabaccava”.
Il bisnonno, il nonno Raffaele, era uno spazzino comunale ed era un musicista, suonava un trombone e faceva parte della banda comunale. Non sapeva leggere né scrivere l’italiano ma sapeva leggere la musica come suo padre. In casa c’era una grande passione: la musica operistica. Gli zii Ivanoe, detto Nino, Arnaldo e Gottardo andavano all’Arena di Verona. Partivano con un carretto trainato da un cavallo avuto in prestito da un amico al mattino presto, per ritornare il giorno dopo. Erano tutti, già dal bisnonno, socialisti. Fra fratelli e sorelle erano dodici, la mia nonna era la più grande, poi dieci maschi e un’altra femmina, la zia Gemma, che era l’ultima. La nonna Alfonsina ha avuto a sua volta sei figli, cinque femmine e un maschio. La zia Gemma sette figli, quattro femmine e tre maschi...

Nel 1938 la nonna trasferì la sua famiglia a Bologna (il nonno era ovviamente impegnato nella lotta antifascista, a casa non c’era quasi mai). Lei manteneva la famiglia cucendo giubbe da soldato, e così diede un mestiere a tutte le figlie. Era una donna molto in gamba, pratica e determinata, con le idee chiare e pochi dubbi. A Bologna, dopo alcune brevi permanenze in altre case, approdò a Vicolo Broglio, che è un piccolo vicolo tra via San Vitale e Strada Maggiore. Molto bello, perché nasce proprio dagli ingressi posteriori dei grandi palazzi di Strada Maggiore e San Vitale; lì c’è l’ingresso di servizio del palazzo dei marchesi Talon come pure del palazzo dove abitò Rossini durante il suo soggiorno a Bologna. A Vicolo Broglio 6 hanno poi vissuto anche i miei genitori fino alla morte.
Si era sempre a casa dalla nonna, con i figli, i mariti, le nuore, i nipoti. La casa era aperta, il nonno ospitava continuamente gente, anche la più varia (compagni, s’intende). Ricordo due giovani studentesse spagnole che stettero lì per diverse settimane, o, in occasione del Polesine, una bimba che tennero in casa fino a che la famiglia non fu in grado di riprenderla. Ciascuno di noi era libero di portare chi voleva, nessuno aveva da ridire. Io ho sempre portato a casa della nonna tutti i miei amici (ovvio che fossero tutti compagni) e per me era un grande orgoglio far conoscere la nonna. E tutti, infatti, la ricordano. Anche a distanza di tanti anni, quando rivedo delle persone, prima o poi mi dicono: “Ma ti ricordi quando mi portavi dalla nonna?”...

Quando scoppia la guerra, loro sono lì e la casa diventa anche una base partigiana: la nonna continua a fare le giubbe da soldato ed entra nel Cumer, che erano gruppi di appoggio alla lotta partigiana, e tutta la loro vita gira così. Lo zio Otello e la zia Desdemona, che sono i suoi due primi figli, se ne vanno con le brigate partigiane nel Bellunese e per un po’ stanno via. Dopo qualche tempo tornano e lo zio Otello, che durante il servizio militare era stato marconista in Marina, diventa l’ufficiale di collegamento a ...[continua]

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