Stefano Stenta è sales manager dell’azienda Atelier Stimamiglio, che oggi lavora con le più importanti case dell’alta moda femminile nel prêt-à-porter e nel prêt-à-couture. Vive e lavora a Vicenza.

L’azienda è nata nel 1979, ed è stata fondata dai miei genitori, in particolar modo da mia madre. Lei è del 1938, ha iniziato a lavorare attorno ai 14 anni presso il conte Rossi, a Vicenza. E’ stata la terza o la quarta persona assunta quando ancora lavoravano nello scantinato di casa. La cosa mitica, che mi ha sempre raccontato, è che l’apprendistato, per uno o due anni, l’ha pagato mio nonno, suo padre. Sì, una volta per mandare i figli a imparare un mestiere, si pagava. Col tempo quell’azienda si è molto sviluppata, arrivando a 200-300 dipendenti, la più grossa ditta di abbigliamento della zona -produceva anche per Pierre Cardin. Mia madre ricorda ancora quando arrivavano le modelle svedesi a fare le prove, queste donne giunoniche altissime, piuttosto in carne, il canone di bellezza degli anni ’60…
Dopo si è sposata, sono arrivati i figli, per un po’ si è assentata dal lavoro e successivamente è andata a lavorare alla direzione di aziende di altri, finché, nel 1979, ha deciso di mettersi in proprio, per un anno ha sfrattato dalla camera da letto me e mia sorella, che siamo finiti in uno stanzino, finché non ha ottenuto un avviamento sufficiente per poter uscire e affittare un piccolo locale in cui è partita, anche lei con due persone.
Essendo un lavoro un po’ da prima industrializzazione, chi aveva un buon saper fare, delle buone mani, riusciva a partire senza grosse difficoltà. Molto più difficile era arrivare a dei livelli un po’ più sofisticati con capacità artistiche elevate. Fino alla mia entrata, il laboratorio occupava 15 persone, essenzialmente tutte locali, nel senso che abitavano proprio nei dintorni del laboratorio, in un contesto in cui se esponevi il cartello “cercasi operaio o apprendista”, il giorno dopo avevi 10 persone fuori, o se mettevi l’inserzione sul Giornale di Vicenza, ti si intasava il telefono. Stiamo parlando di tutti gli anni ‘80, dagli anni ‘90 in poi le cose sono completamente cambiate, ma allora quasi tutte erano ragazze con la licenza media, pochissime avevano un diploma superiore. I clienti erano tutti locali, quindi prettamente vicentini. Mia madre prendeva i cartamodelli, faceva il taglio, la confezione e lo stiro, era una façonnista pura. Le mancava però tutta la parte a monte, cioè la progettazione stilistica, la modellistica, e a valle, ovvero tutta la parte commerciale. Le merci erano di proprietà altrui, lei era come un reparto di produzione interno, solo che era fuori da queste grandi aziende; sono i classici façonnisti, cioè quelli che fanno solo i laboratori di confezione. Il personale allora era completamente italiano.
Alla fine degli anni ‘80 la situazione cominciò ad essere un po’ più preoccupante. I grandi marchi milanesi, ma anche la Marzotto, erano già internazionali, le aziende più piccole invece hanno sofferto notevolmente il problema del riposizionamento in un mercato sempre più globale.
Il passaggio ai mercati esteri per molti è stata una débacle, perché non erano strutturati, non avevano investito sul brand in termini pubblicitari, per cui i marchi non erano appetibili, non c’era quella cura per lo stile, il design… Qui ancora le collezioni si facevano in casa, copiando sui giornali, e tutto si riversava sui prezzi, e quindi sui laboratori, che cominciavano ad essere strangolati.
Alla fine degli anni ‘80 è cominciata una forte riduzione della presenza di laboratori in tutto il Nord, a favore un po’ del Sud, che ha cominciato ad avere una struttura, e delle prime fughe verso l’estero, soprattutto dei grandi. Si cominciava già allora a parlare di concorrenza dall’estero, ma più spinosa per noi era la concorrenza del Sud, perché la consideravamo sleale, per via dei differenziali dei contributi per i dipendenti, ma anche a causa di comportamenti non del tutto ortodossi da parte di alcuni imprenditori.

In qualche modo l’azienda ha fatto parte della mia vita fin da bambino, perché i genitori ti portano a casa i problemi, respiri un certo modo di lavorare, di concepire la vita. Mia sorella è socia, ma si occupa di tutt’altro, fa il medico, però dai 14 ai 20 anni abbiamo passato le estati in azienda. Io le macchine da cucire le conosco tutte, le so smontare e rimontare.
Nel ‘92, dopo la laurea in economia e commercio, sono entrato in azie ...[continua]

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