Andrej Djerkovic, 36 anni, artista, vive a Sarajevo.

Non esiste nessun paese che nella propria Costituzione abbia scritto che se sei aggredito non ti devi difendere. Per me la questione è questa, se c’è una guerra ci sono degli aggressori, e quindi ci sono dei difensori, e quando ti trovi a dover difendere il tuo paese, la tua città, la tua famiglia, la tua vita, non si può parlare di pacifismo, è una cosa semplice. Per questo non penso niente del pacifismo, per me è una questione inesistente.
Prendiamo l’Italia e la Bosnia. L’Italia sta partecipando attivamente ad azioni di guerra, e gli italiani son tutti lì… “pace pace pace” con le bandiere alle finestre. Tu non puoi dire pace quando il tuo governo, il tuo paese è ufficialmente in guerra.
Comunque in Bosnia la guerra è finita, per quanto in Italia tanta gente pensi che la guerra qui sia uno stato permanente, e qui la gente pensi: “Ah tutti questi occidentali sono molto colti, e coltivano la pace…”, e invece sono ufficialmente coinvolti nella guerra, in Afghanistan, in Iraq. E la Francia, che era contraria alla guerra in Iraq, è ufficialmente in guerra in Costa d’Avorio. Dunque, tutto questo è po’ ridicolo.
Fuori dalla Bosnia, in Europa, tutti parlano della responsabilità dell’Olanda riguardo a Srebrenica, perché è stato il battaglione olandese ad abbandonare quest’enclave in mano alle forze serbe. Ma la responsabilità maggiore è francese, perché i generali più importanti dell’Onu di quel periodo sono stati Morillon e Janvier, dunque i due maggiori responsabili delle azioni erano dell’Esercito francese. Quando Srebrenica stava per cadere, il battaglione olandese chiese l’intervento aereo da parte di mezzi provenienti dalla base di Aviano, ma Janvier disse no. Se gli aerei avessero attaccato, Srebrenica non sarebbe successa. Dunque, perché non si parla della responsabilità francese? In Francia non esiste discussione in merito, invece in Olanda hanno discusso moltissimo su questo, fin da subito. Per esempio al Teatro De Balie di Amsterdam organizzano regolarmente conferenze, dibattiti, e ogni 11 luglio gli intellettuali olandesi ne parlano in televisione, sui giornali. Accertate le proprie responsabilità il governo si è addirittura dimesso. In Francia invece non una parola sulla loro responsabilità. In Francia c’è stata una glorificazione di Mitterand, eppure tutto questo succedeva all’epoca della sua presidenza.

Quando è iniziato l’assedio di Sarajevo, nel 1992, anche lì era questione di fare un attacco aereo, da parte delle forze internazionali, per distruggere le postazioni serbe che accerchiavano la città. La Bosnia era un paese indipendente, riconosciuto dall’Onu, e stava subendo un’aggressione, dunque andava difeso.
In giugno Mitterand è arrivato, con un elicottero dell’Esercito francese, in un momento in cui l’aeroporto era vietato a tutti, tranne che all’Onu (quindi infrangendo tutti i protocolli militari); è atterrato e con aria bonaria ha rassicurato l’allora presidente bosniaco Izetbegovic: “Non ti preoccupare… adesso facciamo un ponte, un corridoio umanitario...” facendogli pat pat sulla spalla. E l’assedio è continuato…
Io sono convinto che se Mitterand non fosse arrivato le cose sarebbero andate in altro modo, io e te non saremmo qui a parlare e la Bosnia avrebbe continuato a vivere come paese indipendente; l’Onu avrebbe attaccato, così come è successo in Kosovo, c’erano già i piani dell’Onu e della Nato… Sarebbe stata una guerra, certo, non sarebbe stata pace, ma una guerra breve, molto più breve. Ecco, quella mossa di Mitterand ha bloccato tutto. E pensare che la gente di Sarajevo lo ha accolto con entusiasmo. Tutti hanno pensato: “Adesso succederà qualcosa”, e invece è diventata una questione di emergenza umanitaria e tutto si è fermato.
Dunque la Francia ha tante responsabilità, ma non una parola viene detta. C’è sempre stato, fino alla fine della guerra, un legame tra i generali francesi e l’Armata Serba, che poi è un legame storico di vecchia data, tra la Serbia e la Francia.

Tra gli abitanti di Sarajevo che sono rimasti qui durante l’assedio e quelli che se ne sono andati la comunicazione è difficile. Ci sono persone che sono partite perché avevano paura della guerra e altre che sono rimaste qui, e a me non piace che dicano: “Io sono restato” con la fronte alta e lo sguardo fiero, perché questo presuppone una scelta. Invece non è andata così, non è stata una scelta. Noi ci siamo svegliati dentro ...[continua]

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