Ritengo che nessuna società si sia mai autolimitata e che, a partire da questa “condizione”, si debbano fare delle differenziazioni fra le società, in Occidente come al di fuori di esso. Le società nascono da sistemi di valori che hanno una visione del mondo che fa loro valutare diversamente i rapporti tra gli uomini e i rapporti degli uomini con il mondo naturale. Nella nostra civiltà l’autolimitazione è un fatto intermittente, con degli sviluppi oggi imprevedibili. Non credo che si possa dire che in un domani più o meno lontano ci autolimiteremo in modo continuativo. Credo però di poter dire che si fanno, e sono stati fatti, dei tentativi di autolimitazione. Alcuni si sono anche realizzati ma, appunto, in modo intermittente. In realtà, la linea che ha sempre vinto è quella dell’affermazione dura nell’applicazione dei sistemi di valore, i quali hanno sempre avuto un limite nella loro bontà e validità. Ma di questo limite interno se ne è reso conto solo chi ha vissuto, per scelta personale o perché gettatovi, ai margini della società .
Eppure in passato venivano fatti dei regolamenti per l’uso delle risorse, al fine di non esaurirle. C’era quindi un forte senso del limite, una sua accettazione. Un’accettazione che, se pensiamo all’ingegneria genetica, oggi sta venendo meno. Non c’è, dunque, una differenza di segno che va oltre l’intermittenza?
La differenza di segno rispetto all’epoca preindustriale sta in un senso profondo del rispetto per la fisicità. E con “fisicità” non intendo solo il mondo della natura esterna all’uomo, ma anche la componente umana di questo mondo fisico e da lì anche la componente spirituale dell’uomo, la sua emotività, le passioni, le sue esigenze profonde. In tutta l’età preindustriale, cioè fino a poca distanza temporale da noi, si ha un profondo senso di rispetto per il mondo naturale. Questo profondo senso di rispetto, che spesso non è più che una sensazione profonda della complessità dell’esistente, è venuto calando nel tempo, ma ha ricevuto la scossa più forte solo negli ultimi anni. Una scossa che ci ha ormai rimbalzato su un piano di estraneità quasi completa nei confronti di ciò che è fuori di noi o che è dentro di noi, ma che non abbiamo costruito noi. Costruito del tutto in base ad un principio, non dico razionale, che sarebbe la soluzione ottima, ma razionalistico, cioè di fiducia in un certo tipo di ragione e in un certo tipo di scienza.
Una scienza che si è trasformata sempre di più in uno strumento per conoscere dei meccanismi del mondo della natura e poterli poi utilizzare a favore di certe esigenze dell’uomo e soprattuto di certi suoi interessi. Una scienza da cui la tecnologia nasce, ma che ormai è soprattutto destinata a servire la tecnologia; una scienza il cui ideale, dalla fine dell’Ottocento e non solo in Europa, è approntare una tecnologia sempre più sofisticata, sempre più capace, sempre più agguerrita, sempre più potente. A venir meno, dunque, è stata la profonda sensazione della complessità di ciò che abbiamo di fronte, fuori e dentro di noi, di ciò che non è dipeso e non dipende da noi; una sensazione che potremmo semplicisticamente chiamare “rispetto per la natura”. Oggi, per usare una frase disperata, siamo nelle mani di Dio. Non sappiamo dove stiamo andando; quanto sta avvenendo in tutto il mondo, ad ogni livello di attitudine umana, ci deve fare solo vergognare; nonostante vi siano certamente anche atteggiamenti contrari a questa tendenza, una volontà di contrastarla. Ma quanto avviene di tremendamente disumano lo conosciamo solo in parte. La grandissima maggioranza di persone, me compreso, non sa quasi nulla di ciò che avviene e di cui noi siamo tutti, più o meno decisamente, responsabili. Di fronte a tutto ciò forse solo qualcosa che non dipende da noi potrà cambiare la realtà, correggerla…
Quindi solo un Dio ci può salvare?
Ognuno pensa a Dio a modo suo. Io penso ad una realtà esterna a noi, ma che ha forse bisogno di noi. Che Dio abbia bisogno o meno di noi dipende dalle fedi. Diciamo comunque una realtà esterna, un qualcosa che uno vede come un Dio personale, secondo la tradizione giudaica e cristiana. Un Dio che soffre, che ama, che è capace anche di “odiare”, ma un Dio che significa anche universo, che nella sua anima grandissima guarda se stesso, ogni componente, e dunque guarda anche all’uomo.
Ma se la tecnologia moderna è il frutto necessario e conseguente d ...[continua]
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