“Il contrario della pace non è la guerra, è l’indifferenza”. Quando assistiamo come spettatori non coinvolti ai continui massacri in Bosnia, questa di Wiesel, che potrebbe anche sembrare una “bella frase”, compisce invece come un giudizio, “più tagliente di una spada a doppio taglio, che penetra tra anima e spirito”. Non vale quel che facciamo di solito, scaricare sugli altri e attendere. “Colpevoli sono sempre gli altri, mentre l’ombra di Caino è dentro di noi” ha cantato Claudio Chieffo in una recente manifestazione a Lubjana. Ormai, la stessa TV è muta; anche il più impensabile e raccapricciante l’abbiamo già visto; è solo ripetuto. Non siamo ancora proprio alla noia, ma certo ha smesso di sconcertarci, di offenderci, di inorridirci. E di preoccuparci. Se è così anche nel resto dell’Occidente, diventa anche più facile la “soluzione finale”. Non per nulla si fanno pressioni, per esempio in Inghilterra, per ridurre l’attenzione dei mass-media e dell’opinione pubblica. Da noi, in attesa che con canale 5 anche la guerra divenga un motivo di propaganda elettorale, è per ora diverso: tra una notizia e l’altra, in un clima passivamente attendista, stiamo come attraversando il tunnel della stretta finale, prima che tutto finisca ricomposto “nella pace”. Tutto alla fine si aggiusta. Tutto passa su questa terra: anche la sofferenza. Un giorno i Musulmani, non solo della Bosnia, ci rinfacceranno i nostri silenzi, come già gli Ebrei per il nazismo. Con la differenza che almeno allora molti non sapevano ed ora invece sappiamo: delitti criminali, stupri e crocifissioni, massacri e lager. La guerra civile in Spagna, ha ispirato poeti, Guernica ha prodotto un’opera rimasta nella storia: il nostro silenzio è contro di noi; è il segno della nostra civiltà. Un silenzio che è poi anche miopia e incoscienza politica. Solo qualche mese fa, un giornalista avvertito come Enzo Bettiza, scriveva che questa della Bosnia è solo la terza guerra nella ex Jugoslavia, e non la peggiore. Più terribile sarà la quarta che coinvolgerà l’intera regione dei Balcani e... In questa situazione, diventa importante anche l’accordo sui principi etici di fondo, come per esempio il diritto alla legittima difesa e la liceità dell’ingerenza umanitaria. Si può consentire che perfino gli aeroporti per i soccorsi delle N.U. siano preclusi e inutilizzabili? Il rischio, naturalmente potrebbe essere quello di una progressiva escalation, ma di per sé non si vede proprio perché sia moralmente riprovevole l’uso del potenziale aereo. Lo stesso Boutros Ghali pare orientato a liberare l’aeroporto di Tuzla, almeno per consentire la rotazione delle forze dell’ONU. Ritorsione militare: Bos-nam; si comincia con Bosnia e si finisce con Vietnam. Ma la spirale della guerra può avviarsi anche in altri modi; potrebbe anche coinvolgersi il mondo dell’Islam. La Turchia si fa minacciosa. Sembra proprio questo infatti quel di più e nuovo che ha spinto il Papa, nel suo discorso al Corpo Diplomatico, a invocare il disarmo dell’aggressore. Che non vuol dire opzione militare. Sembriamo come paralizzati fra impotenza di spettatori e cinismo del “minor male” (un altro modo per dire guerra giusta). Solo una coraggiosa creatività politica ci permetterà di uscire dal dilemma. Ma questa inventività si potrà realizzare solo se sostenuta da una fortissima e diffusa coscienza etica. Perché anche chi governa dipende dai popoli: nella ex Jugoslavia come qui da noi in Occidente. Qualsiasi intervento per disarmare l’aggressore richiederà tutto un assieme concertato e paziente di operazioni che ovviamente domanda consenso morale per tempi lunghi. E fermezza di obiettivi. Primo fra tutti il coinvolgimento dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, non solo del suo Consiglio di Sicurezza. Poi l’impegno a mantenere alto il livello dell’informazione internazionale, anche pubblicizzando ampiamente i processi internazionali per i crimini contro l’umanità e i nomi precisi dei criminali. Rigidi controlli sull’embargo alla Serbia e individuazione dell’aggressore: è profondamente ingiusto equiparare, in una generale condanna alla violenza, aggrediti e aggressori. Prosecuzione degli aiuti umanitari tuttora possibili. E infine, dove e come si può, sviluppare una diversa consapevolezza etico-politica nelle popolazioni belligeranti: qui si comprende il ruolo delle Chiese locali che dovrebbero parlare di più il linguaggio della loro fede: sono ancora “Chiese del silenzio” come si diceva quando er ...[continua]

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