Cristiano Antonelli è professore di economia all’Università di Torino; dal 2006 fa parte del board of Directors della Schumpeter Society. E’ presidente dell’Icer (International Center for Economic Research) nonché editor della rivista “Economics of Innovation and New Technology” e cura, con Bo Carlsson, la collana “Economist of Science Technology and Innovation” della Springer.

Cominciamo dalle diverse reazioni che questa crisi provoca, spesso molto divergenti.
Intanto facciamo una premessa: la crisi ha messo in movimento umori profondi, che sono fondamentalmente, che rappresentano anche Scilla e Cariddi fra cui credo di aver passato gran parte della mia vita. Da una parte abbiamo il gruppo dei “fondamentalisti” neoclassici. Queste persone sono convinte che i mercati si autoregolino spontaneamente, che l’equilibrio economico generale sia una decorosa approssimazione del funzionamento del sistema economico. Ci sono, certo, delle incrostazioni e dei movimenti, anche, sorprendenti, ma in gran parte dovuti a fenomeni esogeni (ad esempio, nella fattispecie, la mediatizzazione sarebbe stato un fenomeno molto importante) ma i mercati, nella buona sostanza, funzionano bene e la loro capacità di por rimedio ai loro stessi eccessi è garantita. Quindi senza che si possano escludere piccole oscillazioni erratiche, se uno guarda a tutto il processo, si vedrà che questo non può che compiersi in prossimità dell’equilibrio. In Italia il luogo dove queste cose vengono cucinate e soprattutto divulgate è la Bocconi. Se dovessimo fare un nome, sicuramente Francesco Giavazzi è un eccellente rappresentante di questo modo di pensare. Ecco, questi hanno reagito con sorpresa e con una tendenza quasi patologica alla minimizzazione.
Sarebbe interessante che qualcuno raccogliesse gli interventi di Alesina sui telegiornali del Terzo. Ne ha fatti sei o sette dall’estate del 2008 all’inverno del 2008-2009. A settembre dice: “Questo è un bicchier d’acqua…”; a ottobre: “Ci sono delle cose un po’ inconsuete”, a novembre: “Sì sì, devo dire che anche io sono nettamente sorpreso”, a dicembre non dico che abbia detto: “Non so cosa pensare” ma c’era molto vicino; ora, nell’intervista dell’altro giorno su Repubblica le ali possenti dell’aquila hanno già iniziato a ridispiegarsi, “ve lo dicevo che era…”.
La seconda reazione, che a me sembra altrettanto grottesca, è quella che si è prodotta a sinistra, e che recita più o meno: “E’ la fine del mondo, lo sapevamo”, “sono quasi riusciti a prenderci in giro negli ultimi 6-7 anni, e noi ci siamo lasciati prendere in giro”, ma ora “è evidente che il nuovo modello di sviluppo, le disuguaglianze, l’avidità, la mancanza di altruismo, la mancanza di senso di comunità…”. La crisi che mette a nudo la debolezza intrinseca, l’inconsistenza, l’inadeguatezza concettuale del sistema e quindi la crisi come momento di verità: “Finalmente le cose vere vengono fuori!”. Anche qui, per fare un nome esemplificativo, direi che Luciano Gallino sia uno dei migliori esponenti di questo secondo gruppo. Ed essendo io una persona di sinistra, devo dire che sono più preoccupato da questa reazione che dall’altra, perché c’è il rischio che queste idee si diffondano; un rischio che comunque non penso gravissimo, perché credo che il decorso della crisi, così come io lo immagino, non ne consentirà un radicamento.
Quindi la crisi come turbamento e sorpresa, comunque passeggeri, e la crisi come momento di verità effettiva. Scherzando un po’: mujaeddin neoclassici da una parte e cattocomunisti dall’altra.
Il suo punto di vista si distanzia nettamente da entrambe queste reazioni?
Ora, il mio punto di vista è rigorosamente schumpeteriano. E se posso anche spendere due parole personali: io sono assolutamente un prodotto della scuola italiana. Mi sono laureato qui con Franco Momigliano che era direttore dell’ufficio studi dell’Olivetti e che poi mi mandò a studiare ad Ancona con Giorgio Fuà. Poi andai all’Ocse, e negli Stati Uniti, e anch’io dunque ho le mie reti americane, però certamente il mio non è un approccio neoclassico. Ora, qual è la caratteristica principale degli economisti schumpeteriani? E’ la capacità di osservare il capitalismo come uno straordinario meccanismo sociale, oltre che economico, nel quale forse non c’è una piena identificazione, ma certamente non c’è neppure una critica da posizioni alternative. E’ un modo di pensare certamente critico del capitalismo, ma non al punto di immaginare che possa e ...[continua]

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